Governo Monti: settimana di spread, rating e Fornero allo sbaraglio

Si apre, per il governo di Mario Monti e purtroppo anche per l’Italia, una nuova settimana di passione.

Alle spalle abbiamo il taglio, venerdì 13, di due punti di rating, bollino sempre meno blu della nostra credibilità internazionale come debitori.

Davanti abbiamo il sempre più probabile default della Grecia: tradotto in latino, la Grecia sta per saltare.

Davanti abbiamo la tempesta dello spread, differenziale tra il valore dei nostri titoli di Stato e quelli tedeschi. Si teme che la tempesta si abbatterà ora anche sui tassi nazionali a tutti i livelli e sui vari rating delle numerose istituzioni e aziende italiane indebitate con il sistema finanziario internazionale.

Si teme che essa seguirà al tuono lanciato dal Standard & Poors.

Davanti abbiamo la posizione sempre più difficile con cui i nostri rappresentanti affronteranno la trattativa sul patto fiscale dell’Unione europea. Si tratta di un insieme di norme che regolano la disciplina di bilancio degli stati europei e alla cui approvazione la Germania subordina il varo di un meccanismo permanente per il salvataggio degli Stati in difficoltà, come l’Italia.

La Germania non molla, non vuole essere avviluppata dalle promesse da marinaio di greci e italiani e spagnoli, ma non solo: ormai anche la Francia, il nemico di sempre, e l’Austria, l’antico Impero, sono nel gruppo. A vedere gli eventi di questi giorni con le lenti della Storia, sembra si stia per avverare il quarto Reich, questa volta senza Wermacht, Todt né campi di concentramento, ma con uno esercito di burocrati e con i surplus finanziari.

A rappresentarci e tutelarci abbiamo un governo nei cui confronti i dubbi si cominciano a manifestare ormai apertamente anche da chi gli è più vicino. Passi che Vittorio Feltri spari ad alzo zero, che Angiolino Alfano alzi il ditino per ricordarci che il rating e lo spread non dipendevano da Berlusconi.

Ma quando il Corriere della Sera, organo semi ufficiale di Monti, invita a scelte coraggiose, quando Mario Deaglio, marito di Elsa Fornero, attribuisce apertamente lo schiaffo del rating ai ritardi del Governo, allora si può cominciare a parlare di marea montante.

Col passare dei giorni si rafforza in molti italiani l’impressione che il governo guidato da Mario Monti sia un po’ come un allegro branco di boy scout in gita. In mezzo c’è il povero Corrado Passera, l’unico della compagnia che abbia esperienza di macro organizzazioni e abbia dimostrato di saperci fare sempre, con capacità e competenza, che dà l’impressione del capo classe lasciato a tenere a bada i compagni mentre il professore legge il giornale o va a rapporto dal preside.

Come Berlusconi ha perso il consenso di molti che lo avevano votato non per le sue intemperanze sessuali ma il bombardamento dello spread, così Monti non può pensare di stare a galla solo perché ha sostituito al mascherone di plastica da Joker del suo predecessore la faccia mesta da mezzemaniche alla Policarpo de Tappetti.

Infatti i mercati, senza faccia e senza cuore, hanno ripreso a bombardarci proprio come facevano con Berlusconi. Quelli dei mercati non sono moralisti, la loro etica è il profitto, la loro divinità è il denaro, il loro catechismo sono i parametri.

I mercati non si fanno distrarre dai proclami sulle auto blu, dalle impotenti minacce sugli stipendi pubblici, sulle aggressioni fiscali che aggraveranno la recessione, mentre i grandi patrimoni sghignazzano dal sicuro dei santuari esteri.

I mercati hanno gli occhi e leggono i giornali: cosa devono pensare di un governo che tra i primi atti ha incluso la distribuzione dei rifiuti napoletani nelle altre regioni d’Italia? Qui da noi possiamo anche pensare che una volta caduto Berlusconi quel che non gli era permesso nemmeno di pensare sia ora lecito. Ma fuori le scempiataggini sono sempre e comunque tali.

I mercati sanno che l’Italia ha cinque punti di pil nascosti da dieci anni sotto il tappeto grazie a sofisticati strumenti finanziari che ora sono scaduti. Ora le banche che hanno fatto l’operazione vogliono indietro i loro soldi, banalmente si comportano come la banca, o lo strozzino, se non paghi le rate del mutuo.

L’Italia sperava di ripagare i debiti grazie alla crescita dell’economia, come uno fa un mutuo sperando che col tempo gli aumenti di stipendio gliene alleggeriranno l’onere. Invece è dal 2008 che siamo in recessione.Il Governo, quello di Berlusconi, l’uomo che le voleva ridurre, ha reagito aumentando le tasse, ma non è bastato, perché il gorgo è sempre più fondo.

Per l’Italia è arrivato il momento di vendersi i gioielli di famiglia per chiudere i buchi. Non ci sono molte altre strade. Questo è il fine ultimo del governo Monti, per questo conta poco chi ne fa parte, si chiami Carlo Malinconico, si chiami Giuseppe Patroni Griffi.

Fino a quando Monti non avrà fatto qualcosa per placare questo Moloch dei mercati col sacrificio di Eni, Enel e pezzi di Finmeccanica, la tempesta continuerà.

È un film già visto, fra il 93 e il 95.

Loro, i mercati, hanno una potenza di fuoco molto superiore e lo hanno dimostrato facendo cadere il governo Berlusconi.

Ora stanno diventando impazienti, e le soporifere orazioni di Monti non gli bastano. Loro, i mercati, non sentono le parole, sono come Ulisse con la cera nelle orecchie: leggono i numeri e leggono i giornali e vedono un governo allo sbaraglio e totalmente fuori strada e il loro nervosismo cresce.

Il fatto che se la siano presi anche con la Francia era scritto nel muro. La Francia è un paese irrigidito e classista più dell’Italia, con problemi sociali esplosivi, con una ricchezza accumulata in secoli di rapine internazionali ma con una struttura produttiva arretrata. A guidarla, per di più, c’è un presidente barzelletta, Nicolas Sarkozy, del tutto inadeguato al ruolo, impasticciato in storie di donne che fanno di Berlusconi un titano e in storie di lotte sotterranee con i rivali che fanno impallidire i servizi deviati di tutto il mondo.

Non è un attacco all’Europa, quello dei mercati, come forse si illude, o vuole illuderci, Monti. È un attacco ai paesi d’Europa più scalcinati, che hanno scommesso su un boom che non c’è stato e che in tutti questi anni, invece di affrontare i problemi strutturali che corrodono, come  il diabete, le loro arterie, hanno continuato a gozzovigliare sperando nel miracolo.

Ora non sembra che il governo Monti stia facendo quello che serve, anzi rischia di uscire da questo caso scornacchiato assai. Con la spocchia del professore investito direttamente da Dio di una missione superiore, Monti non si è curato di costruire consenso, non ha cercato un confronto preventivo con le categorie interessate. Invece è partito col terrorismo fiscale e con i decreti legge, mentre Berlusconi diceva ai suoi lasciatelo fare e si stropicciava gli occhi non credendo a tanta ingenuità.

Ma come, proprio sull’art. 18 Berlusconi aveva preso una delle più sonore legnate e ora la Fornero ci riprovava, finendo come Cappuccetto Rosso nella foresta dei sindacati. Pierluigi Bersani, proprio con taxi e ordini aveva fornito le sue prove più ridicole e ora si ricomincia ancora una volta da lì.

Sembra quasi che, caduto il vecchio governo, arrivati questi sprovveduti privi di qualsiasi parametro politico, i funzionari dei ministeri, che sono quelli che veramente reggono le sorti d’Italia, si siano precipitati negli uffici dei ministri con i loro progetti preferiti e sempre scartati, che ora sono diventati azione di governo senza filtri, senza mediazioni.

Ora ci ritroviamo con le città nel caos, con le categorie professionali in rivolta: ma possiamo davvero credere che lo sviluppo dell’Italia passa per il taglio delle auto blu, per un aumento dei taxi (mezzo di trasporto di una sparuta minoranza), per un risparmio delle spese notarili?

Ma siate seri.

Se il nodo di fondo è quello della occupazione giovanile, dovete prendere atto che c’è solo un modo: rendere licenziabili i “vecchi”, rendere licenziabili tutti, trasferire dalle imprese allo Stato le garanzie sociali.

Ora i sindacati hanno alzato un altissimo muro, anzi rilanciano, come da manuale. Non solo non si manda via nessuno, dicono, ma si devono assumere tutti gli altri. Il problema è che a trattare con vecchie volpi del negoziato ci va una professoressa.

I sindacati difendono non solo l’indifendibile, ma la loro sopravvivenza come organismi fatti di uomini e donne che da quel lavoro ci campano: la loro non è solo una missione, è anche un mestiere. La loro vita viene dalle tessere, le tessere le sottoscrivono gli occupati e di conseguenza i sindacati difendono gli occupati, non i disoccupati.

Tutto è contro i giovani, anche la legge sul licenziamento collettivo, in caso di crisi, che c’è: questo forse abbaglia i difensori dello statu quo e i giornalisti fiancheggiatori. Ma questa legge prevede che a essere licenziati per primi non siano i vecchi, ma i giovani, secondo anzianità e carichi di famiglia.

La legge va capovolta e le garanzie di sopravvivenza ai “vecchi” deve darle lo Stato, non le imprese.

Intanto, mentre la Fornero bamblina con i sindacati e si stizzisce in pubblico perché la chiamano “la Fornero” e non “Fornero”, i francesi hanno fatto la faccia feroce al taglio del rating ma si sono subito dati da fare per rispondere a tono e hanno fatto capire di avere recepito il messaggio. Si parla di alleggerire la  stretta dei sindacati, che in Francia sono anche più forti che da noi, per dare alle imprese maggiore flessibilità sugli orari. Marco Moussanet sul Sole 24 Ore spiega: in orizzontale e in verticale) e sui livelli retributivi: “Un’organizzazione del lavoro adattata alle reali esigenze dell’impresa”.


 

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