ROMA – La sentenza della Corte Costituzionale sulle pensioni può diventare il banco di prova della credibilità politica di Matteo Renzi, può diventare anche lo scoglio sul quale si incaglia la nave del Pd, ma può anche diventare la spiaggia su cui si arena la fragilissima democrazia in Italia. Intorno alle pensioni si intrecciano in questi giorni massimi principi della democrazia e brutali calcoli elettorali.
Matteo Renzi è un uomo accorto e prudente.
È ben consapevole della fragilità della vecchiaia e dell’importanza della pensione, al punto di essersi fatto assumere in una azienda di famiglia per ottenere il versamento di contributi che, grazie alla famigerata legge Mosca, gli sono versati dallo Stato.
È anche un politico abile, forse più abile anche di Berlusconi, il Berlusconi politicante, si intende, non leader politico e statista, cosa che un venditore, anche se venditore principe, non potrà mai essere.
Ora in gioco c’è il suo futuro ancora molto lontano (ma, cantava Lucio Dalla, vent’anni sembran pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più) e c’è anche un po’ il suo futuro politico, perché in gioco c’è un pacchetto di qualche milioni di voti.
Come si muoverà Matteo Renzi nella boscaglia di interessi che avvolge, come la giungla ad Angkor Wat, le pensioni in Italia?
Tutto il can can attorno alle pensioni sa di strumentale: in un bilancio di 1.500 miliardi di euro, i miliardi delle pensioni, per non parlare delle pensioni d’oro, appaiono come un pretesto che nasconde altri obiettivi. Volete recuperarli? Tagliate le unghie agli Ercole Incalza che costituiscono l’ossatura della macchina dello spreco, fatevi restituire dal figlio del ministro Maurizio Lupi il Rolex che gli ha regalato un appaltatore e su quel Rolex costruite un fondo indennizzo pensioni.
Però la cosa ha un sapore amarastro. Chi non si accontenta del Minculpop dei giornali italiani che oggi non hanno più nemmeno bisogno delle veline ministeriali (non quelle di Striscia, che ne sono una sexy parodia colta di Antonio Ricci) per essere allineati e coperti, chi legge qualcosa sui giornali e sui siti stranieri non riesce a togliersi dalla testa che il primo a sostituire la previdenza pensionistica pubblica con le assicurazioni private fu, in Cile, il generale Augusto Pinochet: non ci credete? Leggete qua.
Augusto Pinochet è uno dei diavoli della sinistra ufficiale, quello nel cui colpo di Stato militare morì l’eroe della sinistra ufficiale Salvador Allende. Cosa fece Pinochet, in aggiunta al massacro dei comunisti e alle torture? Passati i giorni del Condor, ha chiamato le compagnie di assicurazione e ha affidato loro il sistema pensionistico del Cile, previo smantellamento del sistema pubblico. Sono trascorsi più di 40 anni. Molti comunisti di allora hanno gettato la casacca nei cespugli in pieno stile tutti a casa, forse se gliene chiedete notizia rispondono Allende chi? ben contenti di come alla fine siano andate le cose. Nessuno gli dà più la linea, a loro e a tanti giornalisti, e ora sono allo sbando e scrivono cose che fan venire la pelle d’oca.
In gioco in Italia in questo momento non c’è solo la vecchiaia più o meno serena di qualche milione di famiglie, c’è l’ossatura stessa della democrazia italiana.
Quando si leggono giornali presunti di sinistra sostenere che la Costituzione deve cedere il passo agli interessi superiori della Nazione di cui unico interprete è il Ministero del Tesoro e profeti i giornalisti che ne sono megafono, la delusione è poca cosa rispetto ai principi della democrazia come si è sviluppata nell’Europa occidentale e negli Usa da tre secoli in qua e che ora vengono messi sotto il tallone da alcuni giornalisti. Leggere che il Governo costituisce una autorità superiore a tutti, che non ci può essere alcun organo dello Stato che ne metta in discussione la volontà, un brivido corre per la schiena. Ci sono esponenti politici di primo piano che fanno parte del Governo Renzi che serenamente buttano là concetti come: se la Costituzione non è funzionale agli interessi del Governo la si cambia. Ma la Costituzione esiste proprio per non essere cambiata, per dare un riferimento solido e costante a un Paese, a una Nazione. Lo capì Carlo Alberto nel 1848. Che ora la sinistra italiana incardinata nel Pd metta in discussione simili principi vuol dire che il colpo di Stato strisciante e permanente è entrato nel Dna della politica italiana. Sono i valori fondamentali della democrazia italiana a essere messi in discussione, quelli per cui, ci hanno insegnato per 70 anni, sono morti a migliaia nella Resistenza.
Le pensioni rischiano di diventare la causa occasionale dello show down.
I pensionati in Italia sono tanti e le statistiche, diffuse spesso non per dare informazioni ma per fare politica, fanno una grande confusione: nell’esercito dei pensionati, quasi 16 milioni di persone, entrano tutti, quelli che la pensione se la sono costruita con 30 – 40 anni di versamenti e di lavoro e quelli che, non avendo mai versato o versato poco per le condizioni della loro vita, ricevono dal sistema previdenziale un assegno che si potrebbe assimilare a un sussidio.
Su questi due blocchi se ne sono dette tante ma la posizione della Corte Costituzionale è precisa: aiutare i più deboli è un dovere, ma lo deve fare lo Stato chiedendo i mezzi al Fisco, cioè a tutti i cittadini e anche i pensionati ma in quanto contribuenti non perché più favoriti dal destino e dal lavoro. La prima scelta è da Stato di diritto, la seconda è da corporativismo mascherato da peronismo.
Quelli che il peronismo pervadente la politica italiana chiama pensionati d’oro, quelli con pensione superiore a 2 mila euro lordi mensili sono più di 3 milioni di persone, stando alle stime pubblicate dal Sole 24 Ore. Sono una bella massa di voti se si tien conto anche di figli e nipoti che da quelle pensioni ricevono aiuto, senza contare mogli e vedove. Sono una bella massa di voti che nessun partito ancora si è focalizzato a sollecitare. Il terreno è fertile ma la Lega, che proprio sulle pensioni fece cadere Berlusconi, sembra preferire perdersi in un razzismo da Twitter e da sottoproletariato agricolo.
Matteo Renzi finora ha dato la sensazione di sapere distinguere fra le boutade della polemica politica e valori fondamentali. Matteo Renzi soprattutto sa di avere bisogno dei voti moderati. Ha fatto una scelta fondamentale puntando sul partito e non sulla coalizione che voleva dire mettere l’Italia in mano a Sel, come chi vive a Milano, Genova e Roma ben sa. Preghiamo che il calcolo elettorale lo induca a non fare gli errori verso cui lo spingono gli stessi burocrati colleghi di Incalza che indussero Mario Monti in tentazione e in peccato contro Dio e anche contro la Costituzione.