Pensioni. Letta vs Costituzione: contributo solidarietà, esproprio proletario

Pensioni. Governo Letta vs Corte costituzionale, contributo solidarietà ritorna
Enrico Letta guarda storto i pensionati e ignora la giurisprudenza della Corte Costituzionae

Il Governo Letta l’ha giurata ai pensionati in nome dell’odio sociale e trascurando ben due sentenze della Corte costituzionale si appresta a proporre al Parlamento una serie di misure repressive che però non sembra riguardino anche doratissime pensioni di deputati  e senatori.

Mario Monti sostiene che Enrico Letta è in ginocchio davanti al Pdl, ma è la rabbia per il suo fallimento ad accecarlo. In realtà Enrico Letta è in ginocchio davanti a Sel e a tutti gli invidiosi e odiatori che in Italia sono numerosi.

La notizia è  data da Marco Rogari sul Sole 24 Ore di domenica 20 ottobre e si tratta di un doppio colpo otto la cintura

1. “Contributo di solidarietà sulle pensioni sopra i 150 mila euro da redistribuire all’interno del sistema previdenziale a fini solidaristici.

2. “Proroga di tre anni del contributo di solidarietà su tutti i redditi superiori a 300 mila euro”.

Il doppio “prelievo”, assicura Marco Rogari,

“è previsto dalla versione finale della legge stabilità, approdata alla bollinatura definitiva della Ragioneria generale dello Stato (e subito dopo al vaglio del Capo dello Stato) per essere inviata al Senato dove da martedì comincerà ufficialmente il suo cammino parlamentare.

“A meno di sorprese dell’ultimissima ora il provvedimento dovrebbe arrivare in Parlamento con entrambi i contributi di solidarietà, rimasti in bilico fino alla fine”.

Conferma Enrico Marro sul Corriere della Sera che nel testo finale della legge di Stabilità,

“è ricomparso il contributo di solidarietà sulle quote di pensione superiori a 150 mila euro all’anno. Il contributo, secondo le indiscrezioni che erano trapelate al termine del Consiglio dei ministri di martedì scorso, era stato stoppato dal vicepresidente del Consiglio, Angelino Alfano“.

Invece, lo si ritrova nella versione inviata alla Ragioneria generale dello Stato per la bollinatura:

“Lo prevede il comma 4 dell’articolo 12 del disegno di legge: per tre anni, 2014-2016, sugli importi fra 150 mila e 200 mila euro lordi annui, è dovuto «un contributo di solidarietà» del 5%, che sale al 10% per gli importi fino a 250 mila euro e al 15% per quelli sopra 250 mila euro”.

Dal prelievo, a quanto riferisce Enrico Marro,deriveranno, stando alla

“relazione tecnica al ddl, maggiori entrate nette di 12 milioni l’anno nel triennio, che serviranno a finanziare in parte la salvaguardia per altri 6 mila esodati cui sarà consentito di andare in pensione con le regole prima della riforma Fornero”.

Precisa Marro:

“I pensionati che subiranno il contributo dal 5 al 15% sono circa 3.500 su un totale di 16,5 milioni di pensionati, lo 0,02%”.

Enrico Marro aggiunge:

“La legge di Stabilità contiene anche, per il triennio 2014-2016, il congelamento dell’indicizzazione delle pensioni superiori a 6 volte il minimo (2.972,6 euro al mese). L’adeguamento sarà del 100% fino a tre volte il minimo (1.486,3 euro), del 90% per quelle fino a 4 volte (1.981,7 euro) «con riferimento all’importo complessivo dei trattamenti», del 75% quelle fino a 5 volte il minimo (2.477,2) e del 50% quelle fino a 6 volte”.

Enrico Marro ricorda che

“un contributo analogo, ma per le quote superiori a 90 mila euro, era stato bocciato a giugno dalla Corte costituzionale perché discriminatorio della categoria dei pensionati”.

In realtà la sfida del Governo alla Corte costituzionale è ancora più ampia. Infatti che la Corte costituzionale, in tre diverse sentenze, ha dichiarato illegittimi sia il contributo di solidarietà sia il blocco della rivalutazione delle pensioni, sia qualunque taglio a trattamenti in atto. Ai funzionari ministeriali che elaborano le proposte che poi i politici fanno proprie non importa nulla: forse non le hanno nemmeno lette.

Che poi si tratti di una mossa di pura demagogia comunista lo confermano le parole dell’ideologo di questa iniziativa, Giuliano Amato, il quale, forse per far dimenticare i suoi trascorsi con Bettino Craxi, sostiene tesi da Repubblica Popolare.

“Limitiamoci ai trattamenti pensionistici (all’interno del quale matura il sentimento di ingiustizia). Qui c’è, eccome, un grande problema che un contributo di soldarietà non può certo risolvere da solo, ma alla cui soluzione può concorrere senza porre problemi di legittimità. È il problema della strutturale inadeguatezza dei trattamenti pensionistici più bassi, così come essi risultano a seguito delle successive riforme che hanno reso contributiva la stessa previdenza pubblica”,

ha scritto Giuliano Amato nel luglio 2013.

Quando parlano di giustizia sociale, l’ottica è quella che ispirò l’imperatore Diocleziano quando inventò le corporazioni allo scopo di renderle solidali rispetto alle tasse che ciascuna categoria doveva pagare. Per dare più soldi ai pensionati con gli assegni più bassi, la logica è quella di toglierli a chi, avendo avuto stipendi più alti, ha versato più contributi e gode quindi di pensioni più alte.

Nessuno tiene conto del fatto che molte pensioni vanno a chi non ha versato affatto o ha versato pochissimi contributi. Ricordiamo quanto ha scritto Francesco Grillo in un editoriale uscito sul Messaggero di Roma, che bisogna “evitare la “criminalizzazione” di quelli che hanno pagato secondo le leggi e non hanno usufruito di scivoli, baby-pensionamenti, minori anni di contribuzione, trattamenti di favore”:

“Pochi dicono che in Italia sono 20 milioni circa i percettori di pensioni rispetto ai 12,5 milioni di cittadini con più di 65 anni”.

Tradotto vuol dire che ci sono 7,5 milioni di pensionati, quelli di cui si preoccupano Giuliano Amato e Enrico Letta, che non hanno pagato abbastanza perché sono andati in pensione, beati loro, prima del termine.

Scrive Francesco Grillo:

“Ciò segnala che l’area del privilegio è molto più vasta di quella delle pensioni d’oro o di quelle dei parlamentari, e che a beneficiarne siano state intere generazioni. Abbiamo, in realtà, usato l’Inps per fare ciò che altrove si fa utilizzando risorse e competenze disegnate per combattere la disoccupazione e l’esclusione: questo errore semantico produce però le ingiustizie che stanno scollando questo Paese in corporazioni e generazioni vicine allo scontro tra poveri”.

Che si tratti di una specie di esproprio proletario o di una forma di giustizia proletaria trova conferma anche in questa nota:

“Cifre alla mano, per innalzare tutte le pensioni minime in modo significativo, quindi di almeno 150-200 euro, servirebbero circa 5-6 miliardi di euro. Mettere mano soltanto alle famose pensioni d’oro, ammesso che si trovi il modo, non basta. Gli assegni che arrivano ad essere anche 200 volte più alte della pensione minima sono molto alti ma sono diretti a una platea ristretta, e con questi tagli si arriverebbe al massimo a 1 miliardo di euro”.

 

Ha parlato apertamente il ministro del LavoroEnrico Giovannini:

“Ritoccare le pensioni d’oro è un elemento di giustizia sociale”.

 

 

 

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