ROMA – “Noi vorremmo informarLa che, in seguito all’analisi delle informazioni che Lei ci ha mandato, i seguenti punti sono stati ritenuti nel progetto di messa in mora: deresponsabilizzazione del datore di lavoro in caso di delega e subdelega; violazione dell’obbligo di disporre di una valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute per i datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori…” Così esordisce la lettera scritta dalla Commissione Europea (Dipartimento Occupazione, Affari sociali e Inclusione) con cui si valuterà la possibilità di messa in mora dell’Italia per non aver rispettato le direttive europee in materia di sicurezza sul lavoro.
Questa lettera è particolarmente significativa per due ragioni.
La prima: perchè inchioda le nostre istituzioni e i datori di lavoro al rispetto dell’applicazione delle normative comunitarie ma, nella sostanza, anche di quelle nazionali, a partire dall’articolo 3 della nostra Costituzione (“E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”).
La seconda ragione, non meno importante riguarda il destinatario della missiva che non è nè un partito politico, ne’ un’organizzazione sindacale ma un privato cittadino: Marco Bazzoni, 37 anni, da 16 anni in fabbrica a Firenze Bazzoni ha fatto da anni della sicurezza sul lavoro la sua battaglia quotidiana. Non c’è episodio, dichiarazione politica o sindacale, provvedimento di legge che gli sfugga e che non trasmetta a giornali e agenzie stampa. E così, in un documento di dieci pagine l’operaio fiorentino sottopone al Parlamento europeo la grave anomalia italiana in fatto di condizioni di lavoro. Una, due, tre, quattro mail. A distanza di pochi giorni, dettagliate, documentate. Il risultato: a settembre il Collegio dei Commissari della Commissione Europea, deciderà sulla sua denuncia (fatta insieme all’Ing. Marco Spezia) e sulla messa in mora dell’Italia.
Questa vicenda dimostra che anche una battaglia civile combattuta (pur)troppo spesso in solitudine può essere tanto importante e dirompente da innescare un procedimento internazionale epocale. Una battaglia singola che diventa collettiva. E’ la cosiddetta “class action”, meccanismo legale molto utilizzato negli Usa e ancora poco da noi e che spinge soggetti della stessa “classe” ad intraprendere una via processuale per essere risarciti dai torti subiti.
Class action: significa riappropriarsi del proprio diritto di essere “cittadini” e di “indignarsi”. “Ai giovani – scrive il 93enne Stéphane Hessel, diplomatico e politico di oringine ebraica deportato nel campo di concentramento di Buchenwald – dico: “guardatevi attorno, e troverete gli argomenti che giustificano la vostra indignazione. Troverete situazioni concrete che vi indurranno a intraprendere un’azione civile risoluta. Cercate e troverete”.