Il caso di Abubakar Soumahoro, l’ex deputato della sinistra di Fratojanni, che ha deciso di lasciare i suoi compagni per passare al gruppo misto, tutto finirà “a tarallucci e vino”?
Così spesso avviene in Italia. L’onorevole ha intenzione di mollare il suo scranno alla Camera? Nemmeno per sogno. Ha optato per l’escamotage più facile: non perdere il suo stipendio di oltre diecimila euro mensili per trasferirsi in altro gruppo, sempre a Montecitorio.
Le ragioni per le quali la sinistra-sinistra lo aveva mollato, cioè sospeso, sono arcinote. Nella sua famiglia, cioè moglie e suocera, erano finite nel mirino della giustizia per il comportamento che le due signore avevano mostrato per i migranti fuggiti dal loro Paese per fame o perché il governo d’origine non li sopportava. Pochi i salari pagati, sopravvivenza in tuguri scambiati per case. Insomma un inferno. Sarà la magistratura a decidere quanto e come la coppia sia coinvolta in questa squallida vicenda.
Soumahoro si difende. “Non ne sapevo nulla di nulla”, cioè a dire, non era assolutamente al corrente che due componenti familiari conviventi sotto lo stesso tetto erano riuscite a nascondere la loro “attività”. Improbabile, ma possibile. Comunque sia, il deputato, uscito un giorno dalla Camera con gli stivali sporchi di fango e il pugno alzato nello storico saluto comunista, entrò nel mirino dei suoi oppositori politici e non solo. Perchè Fratoianni e Bonelli decisero all’unisono di sospenderlo dal partito. Nessuna dimissione, per carità. Un giorno di tanti anni fa, fu chiesto a Giovanni Spadolini se intendeva dimettersi da deputato per una “questione” che gli aveva dato parecchie grane. Rispose a muso duro ai giornalisti con la massima franchezza: “Il sostantivo dimissioni nel vocabolario italiano non esiste”.
Per tornare ad Abubakar (questo il suo nome di battesimo), si deve ricordare che fu al centro di violente critiche che lo portarono a piangere in diretta durante una trasmissione in tv. “Voi mi volete morto. Io sono completamente estraneo a questa vicenda”. La polemica pian piano si smorzò (come avviene di sovente in Italia) fin quando Somahoro prese la “storica decisione”. “Me ne vado dal mio gruppo, mi sento un estraneo”. Insomma, invece di chiedere scusa e di cospargersi il capo di cenere, l’onorevole si dice vittima del razzismo (per la sua pelle nera) e ritiene che lo Stato è stato sempre assente e non lo ha mai difeso.
Un momento di attenzione prego, nonostante noi si sia garantisti senza se e senza ma. Ci chiediamo e lo chiediamo al deputato del Parlamento italiano: possibile che non si sia accorto di vivere accanto ad una persona (sua moglie) che secondo il Gip “ha mostrato elevata spregiudicatezza criminale a scapito dei migranti”? Ed è possibile che non sia stato preso dal dubbio quando la signora Somahoro si faceva fotografare indossando abiti di lusso e borse e stivali dello stesso tenore? Il parlamentare entrato a far parte del gruppo misto replica: “Ho avuto scarsa solidarietà. Non ne sapevo nulla. Punto e basta. L’inchiesta mi darà ragione”.
E’ evidente e chiaro che la polemica politica impazzi sulla vicenda. Il centro destra punta il dito contro quei signori che lo difendono a spada tratta, mentre anche una certa parte della sinistra (che non ne vuole più sapere di lui) fa scrivere ad un giornale assai vicino alle idee progressiste: “Ora che sappiamo quasi tutto sui suoi familiari, Somahoro ha la possibilità di iscriversi a Forza Italia”.
Lasciamo da parte l’ironia e la cattiveria, ora è importante che la giustizia faccia passi celeri ed arrivi presto ad una conclusione. Altrimenti, la gente comune non potrà ingoiare il rospo di sapere che un onorevole non sia “degno” del suo stipendio con molti zeri, mentre migliaia di persone non sanno come mettere insieme il pranzo con la cena.