Tv, non c’è pace sul piccolo schermo: nascono i litigi, le polemiche politiche (tanto per cambiare), gli screzi, le invidie. Invece di pensare ai programmi ed alla loro attrazione, si preferisce la strada delle baruffe chiozzotte di goldoniana memoria. Perchè? Si imita il Parlamento, destra e sinistra vengono prima di ogni cosa. Così le divisioni si moltiplicano e anche fra colleghi di una stessa azienda è guerra aperta.
Nei giorni scorsi, il sindacato dei giornalisti della Rai che conta più proseliti indice uno sciopero di 24 ore perché l’informazione non è più quella di prima: troppo spostata a destra, una “telemeloni” come viene chiamata da quando la premier siede a Palazzo Chigi.
L’Usigrai è convinta che le adesioni saranno tante e che quindi i tg più popolari non riusciranno ad andare in onda. I direttori faranno un flop disastroso se dovessero pensare di ostacolare l’astensione dal lavoro. Invece l’Usigrai (da sempre l’organizzazione unica che fa il bello e il cattivo tempo), trova sul proprio cammino un sindacato sorto da poco, l’Unigrai. Che cosa succede? Quel che nessuno o quasi si aspettava: tg1 e tg2, con i giornalisti che non aderiscono allo sciopero, vanno regolarmente in onda e succede il finimondo dal punto di vista politico.
I sostenitori della sinistra ritengono che si è violato un principio sacrosanto; quelli di destra plaudono finalmente al nuovo. “E caduto finalmente un muro”, esclama Giovanni Minoli, un professionista di razza. Mentre più volte si ripete il sostantivo “censura” rievocando il caso di Antonio Scurati, lo scrittore a cui è stato impedito di leggere un suo monologo sul 25 aprile. Risuona la parola fascismo, ma forse si dimentica che la lottizzazione è stata sempre una costante della Rai. Ai tempi della prima repubblica, si diceva che su dieci giornalisti uno solo era bravo, gli altri dipendevano solo dal partito a cui dovevano il loro posto di lavoro.
E’ chiaro che in questo modo, l’informazione ne paga le conseguenze perché di destra o di sinistra che sia la maggioranza, solo chi vede la tv ne paga il fio. Nel senso che sarà sempre più difficile dare una notizia e fare in modo che non si “offenda” l’avversario. Innanzitutto la cronaca, si dice. Ed è giusto e sacrosanto un principio del genere, ma a volte chi ascolta vorrebbe qualcosa di più dalla rete che ha prescelto. Come avviene leggendo un giornale dove i commenti possono variare, ma sarà il lettore a scegliere il quotidiano da comprare.
Un’unica decisione potrebbe cambiare le carte in tavola: togliere alla politica il predominio del servizio pubblico, cedendolo ai privati che non saranno più condizionati dal volere del Palazzo. Questo non avverrà mai perché è troppo comodo per chi è al potere avere dalla sua parte una gran parte dell’informazione che non critichi ogni giorno facendo le bucce a chi comanda.
Ma anche qui le perplessità non mancano vista l’esperienza di alcuni/molti quotidiani.
La “guerra” non è soltanto politica, però. A volte nasce per ragioni diverse. Anche se non penseresti mai che un fatto del genere diventi di dominio pubblico. E’ quel che è accaduto giorni fa a la7, la tv di Urbano Cairo, proprietario anche del più diffuso dei quotidiani italiani, il Corriere della Sera.
A dirigere il tg è da anni, un giornalista che va per la maggiore, Enrico Mentana, il quale ha avuto il merito di dare all’ascoltatore un telegiornale diverso: più orientato verso la politica, ma comunque attratto da coloro che vogliono mangiare questa materia da mattina a sera. Le prime donne, in quella rete, sono tante, qualcuna arrivata anche di recente dopo le elezioni stravinte da Giorgia Meloni. Non è facile però barcamenarsi fra attori di grido. Così accade che un tg vada oltre di qualche minuto a scapito del programma successivo.
Chi c’è che dovrebbe prendere il testimone? Lilli Gruber che non vuole assolutamente che gli altri abusino della sua pazienza. Lo dice in diretta, prima di dare inizio al suo programma, “otto e mezzo”. Si scaglia contro Mentana, ritiene che è afflitto da incontinenza ritenendolo in pratica un anziano.
Il direttore prende cappello e punta il dito contro la collega: “O in poche ore l’azienda interverrà su questa vicenda oppure ne trarrò le conseguenze”. Vuol dire dimettersi? Ecco i social scatenarsi: profumo di canale 9, come è avvenuto per Fazio e Amadeus? Assolutamente no. Tutto è finito a tarallucci e vino. E’ bastato un comunicato (in ritardo) dell’azienda in
cui si richiama il rispetto: fra colleghi e nei confronti della stessa azienda”. Pace fatta, dunque. Fino a quando?