Vajont, Veneto, Abruzzo: terremoti e alluvioni, sciagure previste ma l’avidità è stata sempre più forte

Per sapere come sarebbe andata prima o poi a finire bastava leggersi il numero di febbraio 2006 della rivista mensile “Padova e il suo territorio”, del quale scrissi su L’espresso nell’ottobre o novembre 2007 e che nei giorni scorsi ho spedito a Blitzquotidiano perché ne pubblicasse i punti salienti.

Il lungo articolo-inchiesta intitolato “I rischi di inondazione nella provincia di Padova” parlava infatti chiaro. E la sua firma, Luigi D’Alpaos, docente del Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Marittima, Ambientale e Geotecnica dell’Università di Padova, avrebbe dovuto far capire che gli allarmi e le previsioni dell’articolo andavano prese sul serio.

Era stato infatti l’Istituto di Idraulica e Costruzioni Idrauliche dell’Università di Padova a segnalare a suo tempo, primi anni ’60, il disastro cui si sarebbe andati incontro se si fosse continuato ad aumentare il livello dell’acqua nel lago artificiale del Vajont: a causa della pressione eccessiva della massa d’acqua sulla base del monte Toc, abbreviazione del termine friulano “taròc” che non a caso significa “marcio”, dalla montagna si sarebbe staccata una frana di almeno 40 milioni di metri cubi di terra, che precitando in acqua avrebbe provocato morte e distruzione.

Allarme inascoltato. Lo Stato italiano aveva da poco nazionalizzato l’energia elettrica, fino a poco prima prodotta da una serie di privati, e alla società che la produceva sfruttando la centrale idroelettrica alimentata dal lago artificiale ottenuto con la diga del Vajont, costruita a fine anni ’50, l’indennizzo veniva pagato in proporzione all’altezza dell’acqua del lago.

L’ingordigia è stata fatale, spingendo ad alzare il livello delle acque fino a far tremare il monte Toc tanto che alle 22,39 del 9 ottobre 1963 se ne staccò una frana lunga 2 chilometri di oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e terra: quasi 7 volte il volume della frana calcolato dall’Università di Padova. Interi paesi furono divelti dalla gigantesca massa d’acqua fatta schizzare dalla mega frana e le vittime uccise furono 1.910, secondo la stima a tutt’oggi più attendile, di non poche delle quali non è mai stato trovato il cadavere. Vennero rasi al suolo i paesini di Frasègn, Le Spesse, Cristo, Pineda, Ceva, Prada, Marzana, San Martino, Faè, la parte bassa dell’abitato di Erto, Longarone, Pirago, Maè, Villanova, Rivalta e la parte bassa di Erto. Furono inoltre profondamente danneggiati Codissago, Castellavazzo, Fortogna, Dogna e Provagna, e subirono danni anche Soverzene, Ponte nelle Alpi. L’ondata arrivò fino a Belluno, distruggendo la borgata di Caorera ee allagando quella di Borgo Piave.

Il disastro del Vajont è stata la mia prima esperienza di volontario, ero arrivato da poco a Padova per studiare Fisica all’Università. Poi venne quella del terremoto di Gemona, anno 1976 e un migliaio di morti, ero già giornalista.

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