Digitale, o lo si fa o si muore. Vincenzo Vita come Garibaldi a Bixio

di Vincenzo Vita
Pubblicato il 25 Ottobre 2020 - 10:05 OLTRE 6 MESI FA
Digitale, o lo si fa o si muore. Vincenzo Vita come Garibaldi a Bixio

epa04605760 A hand operates above a laptop’s keyboard in London, Britain, 06 February 2015. The Investigatory Power Tribunal on 06 February 2015 ruled, that Britain’s intelligence agency GCHQ sharing private communications of UK residents with US authorities was contravening Articles from the European Court of Human Rights (ECHR) but now complies. EPA/ANDY RAIN

Ormai o si fa il digitale o si muore. Un convegno e un rapporto evidenziano ritardi e opportunità.

Venticinque anni fa, uno dei principali guru del mondo tecnologico, l’allora direttore del
Media Lab nonché professore al Massachusetts Institute of Technology Nicholas Negroponte, scrisse
il celebre volume Being digital. Allora non poteva immaginare che il passaggio dall’era analogica a quella
numerica sarebbe stata sospinta da una pandemia. Più che dalle vibrate prediche degli evangelisti
dell’innovazione. Già, un effetto collaterale del Covid-19.

E proprio sull’Italia mediale e digitale della e nella pandemia si cimenta il terzo rapporto Auditel-Censis,
presentato lo scorso lunedì a Roma presso la sala Zuccari del Senato.
A discutere il testo vi erano Giuseppe De Rita, Andrea Imperiali, Giancarlo Blangiardo, Giacomo
Lasorella, Alberto Barachini. Rispettivamente presidenti del Censis, dell’Auditel, dell’Istat,
dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, della Commissione parlamentare di vigilanza sulla
Rai. Insieme con il sottosegretario con delega all’editoria Andrea Martella.

Si conferma una verità ormai risaputa. Vale a dire che il virus comporta effetti di medio e lungo
periodo. In taluni casi senza ritorno.

Non sarà certamente un caso se gli investimenti in tecnologia sono diminuiti solo dell’1/2% sul Pil
rispetto al 9% generale. E se tra quanti si sono ulteriormente arricchiti vi sono i proprietari degli
Over The Top, al cospetto dell’aumento delle povertà.

Non sfugge a simile tendenza l’universo comunicativo.

Scandagliato nel documento (che intreccia il 2019 con il 2020) su di campione di 4.870 famiglie.
Sempre famiglie, naturalmente, secondo un approccio classico.

Tuttavia, due dati emergono con cinica chiarezza: su un totale di 24 milioni e 285.000 famiglie, 3
milioni e 587.000 hanno un livello socioeconomico e una capacità di spesa bassi. Sul versante
opposto sui stagliano 2 milioni e 317.000 nuclei agiati o ricchi.

Pressoché omologhe le cifre sull’arretratezza delle e nelle connessioni. 3 milioni e mezzo di famiglie
non hanno un collegamento ad Internet. La banda larga su rete fissa è presente nel 77% della fasce
alte e medio-alte. E solo nel 19,8% dei meno abbienti. Costituiti in misura sempre maggiore, questi
ultimi, da coloro che vivono nel disagio materiale. E stanno nelle periferie abbandonate (le
baraccopoli digitali, per dirla con il filosofo Luciano Floridi). Lontano dalla cittadella iperconnessa e
benestante.

Se ne vedono le conseguenze nei buchi neri dell’educazione a distanza, dove si incrociano digital e
cultural divide. E, se il cosiddetto lavoro agile diventa non l’eccezione, bensì la regola, il tema dei
livelli adeguati di connessione diviene un capitolo fondamentale dello stato innovatore democratico.
Un diritto di rango costituzionale.

Eppure, nel 2019 erano presenti nelle case ben 112 milioni e 400.000 schermi abilitati a seguire i
programmi in modalità tradizionale o in streaming. 600.000 in più rispetto all’anno precedente.
Gli smartphone sono al primo posto, con 44 milioni e 700.000 esemplari (+2,4% sull’anno
precedente). Seguono gli apparecchi televisivi, 42 milioni e 700.000 (+1,1%). Successo delle smart
tv, arrivate a 10 milioni. Se si aggiungono i dispositivi esterni in grado di collegarsi ad Internet, si
tocca la soglia di 10 milioni e 400.000 device collegati al Web (+61% sul 2018).

Il rapporto parla, dunque, di boom della vita digitale. Una crescita assai forte, con una consistente
varietà della fruizione. Ma con i limiti descritti. E con le nuove differenze i classe che le tecniche, se
non governate, aumentano seriamente.

Del resto, l’esigenza di una rete nazionale di diffusione a controllo pubblico nasce proprio da qui.
Come ugualmente si dovrebbe passare dalla teoria alla prassi nelle consuete evocazioni di un
sistema formativo atto alla bisogna.

Il rapporto ci costringe a pensare che ormai o si fa il digitale o si muore.

Ora, poi, con i fondi europei previsti, l’occasione è imperdibile.

Non basta, però, occuparsi della quantità. La mediapolis, così efficacemente descritta dallo studioso
Roger Silverstone, sarà partecipata o autoritaria a seconda dei rapporti di forza che si sono aperti
nel freddo conflitto in corso. Nell’immaginario.