Enrico Vaime, la tv intelligente, il protozoico senza format comprati all’estero e ospiti cammellati da chissà chi

Enrico Vaime o della tv intelligente è il titolo di questo articolo di Vincenzo Vita pubblicato sul Manifesto in occasione della morte dell’autore televisivo. Enrico Vaime ci ha lasciato. Addio al grande autore di testi per il piccolo schermo, la radio e il teatro.

Da «Canzonissima» a «Blackout», uno stile capace di mediare tra offerta d’élite e cultura popolare e
dove il divertimento si trasformava in una estetica.

Aumenta ancor di più il senso di vuoto per chi pensa che la radio e la televisione non siano sinonimi di svago narcisistico o di insistita stupidità. Vaime, infatti, è stato tra i protagonisti di un mondo capace di rendere possibile la produzione di consumo sì, ma di qualità.

Vale a dire, la realizzazione di quella imprescrutabile mediana tra offerta d’élite e cultura popolare,
capace di trasformare il divertimento in un’estetica. Dove il sorriso si accompagna alle leggerezza
virtuosa, alla capacità di unire l’ironia alla visione malinconica. Nella consapevolezza di ciò che di
male preme attorno. E per dimenticare, per un attimo.

RADIO E TELEVISIONE diventano intelligenti, sapendo ibridare i generi – dal cabaret, al teatro, al
musical, alla canzone, al cinema- in quel format chiamato varietà. E lì Vaime ha toccato vette
altissime.

Enrico Vaime entrò in Rai per concorso

In coppia con Italo Terzoli o da solo ha attraversato fin dall’entrata alla Rai per concorso
nel 1960 i diversi meandri del flusso mediatico. Dalle due edizioni di Canzonissima che portano la
sua firma. A Quelli della domenica che segnò il debutto televisivo di giovani talenti come Cochi e
Renato e Paolo Villaggio. A Risatissima, a Batto quattro, a G.B. Show con il rinomato Gino Bramieri.

Ancora alla radio con Gran Varietà prima (Mina e Dorelli fra i conduttori) e Black Out. Alla stagione
in cui trasmigrò a La7 in cui ha fatto capolino da conduttore ovvero ospite fisso in talk come
Omnibus o Coffee Break. Alle messe in scena con Garinei e Giovannini.

Fino ai recenti Anni Luce, Memorie dal bianco e nero, Di che talento sei?, S’è fatta notte. Alle collaborazioni con Pippo Baudo e Maurizio Costanzo. Oltre 200 titoli. Vanno aggiunti i suoi numerosi libri.

Anni intensi e pieni di intuizioni, mutuate dai suoi dichiarati maestri come Ennio Flaiano, Cesare
Zavattini o Marcello Marchesi. Da loro l’approccio sarcastico volto ad una comicità moderna, lontana
dagli stereotipi della parolaccia, del doppio senso, della volgarità. Non si può neppure immaginare
ciò che residua della parte migliore della comunicazione extra-news senza figure come Vaime.

Del resto, solo la capacità rabdomantica nel cogliere e ibridare i desideri del senso comune poteva
reggere uno spettacolo di taglio classico come Canzonissima in pieno ’68. Con Terzoli e Verde, con
l’apporto del trio Mina, Walter Chiari e Paolo Panelli. E la brillante regia di un guru come Antonello
Falqui, quell’edizione del canonico appuntamento del sabato sera divenne un cult, un riferimento per
le emulazioni successive.

Il varietà di Vaime, autobiografia di una nazione

NON È STRAVAGANTE affermare che la storia del varietà è in un certo senso l’autobiografia di
una nazione. E già, perché proprio nei territori dello svago infilato nei palinsesti, quando parrebbe persino lasco il controllo politico, si capisce quale sia la temperatura culturale.

L’universo cui è appartenuto Vaime è connesso alla stagione della commedia all’italiana nelle sale ancora affollate. O al teatro della comicità adulta e ricca che viaggiava nei sipari del paese. Con una versatilità di
scrittura mutuata dalla miglior letteratura.

Via via, fino all’oggi così amaro e deludente (non ci sono più i cretini di una volta: una delle battute), la parabola discendente del varietà ci racconta lo stato delle cose. Fin troppo banale prendere a mo’ di esempi di una televisione generalista in crisi di identità. Di fronte all’assalto dei canali specializzati e della rete Il Grande Fratello Vip o Ballando con le stelle.

Senza sciocchi moralismi, ma attenendosi all’originalità creativa. Se è vero che – al di là
di ogni considerazione- ora le reti sono costruite su format acquistati all’estero. E su ospiti
organizzati da apposite società. Scuderie, si usa chiamarle, peraltro quattro o cinque in tutto.

DI QUI, L’INSOPPORTABILE patina omologante, da varietà unico che procede imperterrito in
assenza di alternative. La pandemia, poi, ha costretto ad aumentare la platea della fruizione e pure
le ore di esposizione passiva.

Ovviamente, le eccezioni non mancano, ma la tendenza pare inarrestabile. Insomma, le figure diverse o eccentriche faticano o navigano ai margini del villaggio.

Infine, un ricordo politico, non emerso nei ricordi. Vaime, con stile e sobrietà, non si è mai sottratto
alle iniziative civili e democratiche. Nei passaggi fondamentali c’era sempre. Dalla parte del torto,
spesso.

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