Mediaset Premium pedina della conquista francese sulla economia italiana, nella analisi di Vincenzo Vita, pubblicata anche sul Manifesto: come 5 secoli fa, quando il re di Francia dominava in Italia e la invadeva.
Pare di sentirli (e di vederli) Silvio e Fedele suonare e cantare su un bastimento “E la chiamano estate, questa estate, senza te, Bolloré…”, per riprendere il motivo di un noto brano degli anni sessanta. Infatti, i negoziati per la vendita a Vivendi di Mediaset Premium, la pay tv del Biscione, sembrano assai ingarbugliati. E dai rapporti di amorosi sensi dello scorso aprile si è passati con clamore alle stanze dei tribunali. L’atto di citazione della stessa Fininvest (dopo quello di Mediaset) è arrivato. Non solo. Il gruppo di Cologno Monzese cita pure per danni l’ex amico francese, Vincent Bolloré, per 570 milioni di euro. Danno emergente e lucro cessante, direbbero i giuristi.
Si tratta di una colossale messa in scena o di una rottura vera? Verosimilmente, siamo di fronte ad un negoziato duro e conflittuale, in cui –però- i due contendenti non possono andare davvero fino in fondo. Fininvest e Mediaset perché hanno bisogno di risorse finanziarie e pensano al domani, dopo la sbornia dell’era televisiva, ormai in fase di decrescita tutt’altro che serena.
Il domani sta forse nell’universo di Telecom, di cui Vivendi è il socio di rifermento. E pure i francesi non possono affondare il colpo, se vogliono mantenere un piede ben saldo in Italia, mercato di consumo troppo importante per essere tralasciato nel disegno del network europeo. A conferma vi sono le notizie di un lavorio in corso tra le rispettive diplomazie.
Per trovare “nuove soluzioni”, sotto le ali di Mediobanca. Nelle prossime ore si capirà meglio, vista l’imminente riunione del board di Vivendi. Ecco, Mediobanca. Bolloré, definito non a caso da Hollande (in un libro fresco di stampa che raccoglie diverse interviste rilasciate dal presidente francese) “un pirata, un catto-integralista”, ha alzato la soglia dei desideri, mettendo gli occhi sui tabernacoli del capitalismo italiano o, comunque, su ciò che di esso residua: la medesima Mediobanca e Generali. Di qui, senza un lasciapassare governativo, difficilmente si transita.
Se sono vere, dunque, le mire della campagna italiana del tycoon bretone, allora è immaginabile che la pressione su Mediaset si sgonfi, prima o poi. Anche perché le reti berlusconiane sono utili per la propaganda sul “Sì” al prossimo voto referendario. Già: Berlusconi si è pronunciato per il No, ma i telegiornali di Mediaset (Tg5 in testa) assecondano Renzi e i suoi orchestrali. Insomma, Bolloré non può tirare troppo la corda. A meno che le prossime elezioni presidenziali in terra di Francia, dove tornerà a correre il grande amico del finanziere, Nicolas Sarkozy, non trascinino un rovesciamento di alleanze in Italia, con Berlusconi richiamato all’ordine dai vecchi sodali.
Gli scenari sono più complessi di quanto si possa immaginare e non è da escludere che la partita che riguarda Mediaset Premium sia una tessera di un mosaico più grande. Del resto, andare per tribunali sembra ormai la via “normale” nel mondo mediatico, in fase di fibrillazione da epoca di transizione. Telecom è in guerra con Sky, per rivedere al ribasso il vecchio accordo economico del 2014 sulla trasmissione in fibra ottica dei programmi di Murdoch. Quest’ultimo al momento rimane chiuso in uno strano silenzio.
Eppure, gatta ci cova: se Bolloré fa sul serio, lo “squalo” (secondo una definizione ormai conclamata) difficilmente starà fermo. Unica assente all’appello è la Rai, ma l’assenza dalle grandi contese è magari proprio la scelta strategica sottesa alla brutta legge che (non) ha riformato il servizio pubblico. A pensar male, purtroppo, si indovina.