ROMA – Vincenzo Vita ha pubblicato questo articolo anche su “il manifesto” di mercoledì 17 giugno, con il titolo “L’icona”.
Il fenomeno dei migranti, dei profughi, dei richiedenti asilo ha fatto irruzione nel consumo di massa televisivo, divenendo un’icona, un simbolo della globalizzazione. L’altra faccia della tecnocrazia finanziaria. Lo schermo ci rende chiaro che non siamo di fronte ad un’occasionale emergenza, bensì alla fisiologia inesorabile del sistema.
L’antropologo statunitense di origine indiana Arjon Appadurai (1990) parla di “ethnoscapes”, vale a dire i flussi di persone, che coesistono con quelli di denaro, di macchine e di idee ed immagini: tutti diventando “mediascapes”, il tam tam delle informazioni e dei dati. Insomma, non siamo in una sequenza di un film di fantascienza, con l’invasione degli alieni. Siamo nel realismo della contemporaneità. Ed ecco che è avvenuto un mezzo miracolo laico. Anzi, un’eterogenesi dei fini. L’atteggiamento aggressivo e chiaramente volto a fare propaganda politica, piuttosto che vera comunicazione, dei telegiornali tradizionalmente moderati o più attenti al centrodestra ha tirato la volata alla questione dell’immigrazione, che si è diffusa nell’agenda delle notizie, vincendo le griglie del controllo politico.
Parliamo dei giorni di giugno, quelli delle immagini terribili degli scogli di Ventimiglia o delle stazioni di Roma e di Milano. Qui i media hanno restituito qualcosa ai migranti, rendendoli parte integrante della visione domestica, della fruizione televisiva, della vita quotidiana. E grazie agli stimoli dei media si è determinata una notevole mobilitazione: aiuti, solidarietà, senso della Comune. L’ossessione dei e sui “diversi” che invadevano la tranquilla cittadella benpensante, piena di tentazioni xenofobe e razziste, è transitata “naturalmente” verso linguaggi mediali improntati alla simpatia. Non era così nella campagna elettorale.
Nel clou dello scontro politico la parte del leone l’hanno fatta partiti e soggetti politici, presenti in voce e in video otto-dieci volte di più dei protagonisti sociali. Basti scorrere le tabelle di riepilogo delle presenze nelle news nel mese di maggio, curate dalla società “Geca Italia” e pubblicate dal sito dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Il tema dei migranti è stato oggetto di polemica e –nel caso di scuola del Tg4- un ingrediente della volata per Salvini. Per poi trasformarsi in un corpo di notizie più umano: sensibile al dramma in corso. Al di là delle contraddizioni e delle incertezze del governo.
I media non possono far finta di niente. Del resto, la”Carta di Roma” sottoscritta proprio due anni fa dall’Ordine dei giornalisti e dalla Federazione nazionale della stampa impone di rispettare la dignità delle persone, senza alcuna discriminazione. Anche le parole vanno misurate, abolendo –ad esempio- il termine implicitamente crudele di “clandestino”. Alimentare le paure, le angosce dell’Occidente in crisi identitaria non ha senso e, per fortuna, c’è chi dice no. Bene ha fatto, ad esempio, “Piazza pulita” a cercare di spiegare origini e matrici dei fenomeni, “andando sul posto”.
Ed è utile la decisione dell’associazione “Articolo 21” di cimentarsi sulla necessità posta dal Papa di Roma Francesco di “illuminare le periferie”. C’è materia per la stessa discussione sulla riforma della Rai, che viaggia nel silenzio generale nella competente commissione del Senato. In un servizio pubblico dell’era globale un telegiornale potrebbe essere dedicato ai diversamente italiani, cresciuti enormemente tra il 2013 e il 2015: una forza assai superiore a quella di vari gruppi politici tuttora sulla scena.