Privacy, parla Soro. Sfide post Covid: intercettazioni, trojan, riconoscimento facciale

Privacy, parla Soro. Vincenzo Vita commenta la relazione del Garante in questo articolo pubblicato anche sul Manifesto.

La relazione annuale del Garante dei dati personali Antonello Soro è avvenuta quest’anno con una
cerimonia ridotta alla camera dei deputati, a causa delle misure antivirus.

Il discorsp è stato introdotto da un saluto non formale del presidente dell’assemblea Roberto Fico. Ha poi
toccato con discrezione anche il tema della prolungata proroga. È in corso la quarta edizione della
serie) dell’istituzione medesima. Con l’auspicio che si chiuda un ciclo non commendevole di rinvii,
rompendo finalmente gli indugi.

Tutto ciò riguarda, ancor più, l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, da tempo ondeggiante
in uno stato incerto, né liquido né gassoso.

A fronte di simili colpevoli scivolamenti dovuti al mancato accordo politico sulla nuova composizione
degli organismi in questione, è lecito domandarsi se non si sia manifestato un rigetto nei riguardi di
un altro potere: contiguo ma diverso rispetto a quelli tradizionali.

Nell’accentrarsi dei riti decisionali, forse il sogno della terzietà, costitutivo delle autorità
indipendenti, è rimasto un pio desiderio o si è trasformato in un incubo.

Non è il caso dell’ufficio del Garante dei dati personali, che ha fatto bene e conclude il mandato con
molta dignità. La conferma è arrivata dalla relazione di ieri, basata su di una seria intelaiatura
analitica.

Soro ha opportunamente citato Stefano Rodotà e Giovanni Buttarelli (il profetico giurista innovatore
e il primo segretario generale, divenuto poi responsabile europeo), purtroppo entrambi scomparsi.

Tuttavia, proprio a loro si deve la strutturazione della normativa, a partire dalla legge quadro n.675
del dicembre 1996 e dalla paziente costruzione dell’edificio regolamentare.

La relazione ha sottolineato come la pandemia abbia riportato con i piedi per terra l’ordine degli
addendi. Virtuali sì, ma sotto il segno della fisicità, intaccata in modo analogico dal virus. E, però, la
stessa fase del lockdown ha accelerato la transizione all’età digitale e reso consueto nominare parole
come smart working, e-learning, contact tracing, algoritmi o intelligenza artificiale.

Siamo di fronte ad un fatto sociale totale, è vero. Ma con enormi rischi. La pervasività e l’intrusione
(magari a fin di bene) violano non tanto e non solo la nostra riservatezza borghese, bensì la fisiologia
dell’io-digitale, della cui fisionomia noi stessi non siamo consapevoli.

Lo dimostra, ad esempio, il numero elevato di istanze rivolte al Garante sui profili identitari ricavati
in rete e non rispettosi dell’effettiva biografia: ben 8.092.

Come sono aumentati (del 91,5%) gli attacchi di malware, e triplicati gli atti di
spionaggio/sabotaggio. E lungo il pendio scivoloso ritornano in scena i pericoli connessi al
riconoscimento facciale. Sulla cui applicazione si chiede con l’Europa una moratoria. Al ricorso
eccessivo alle intercettazioni o ai trojan. All’esasperata circolazione di fake news.

I valori delle libertà e dell’umanesimo vanno custoditi gelosamente, applicando i principi di cautela e
proporzionalità nell’adozione delle pur necessarie misure emergenziali, quali quelle volte a
contrastare la diffusione del Covid-19.

Interessante la proposta al Governo e al Parlamento di investire in un’infrastruttura cloud pubblica,
avvolta in stringenti misure di protezione.

È un passo fondamentale per aprire la strada al tema dei temi: la proprietà pubblica dei dati, oggi
impropriamente posseduti dagli Over The Top: da Google, a Facebook, ad Amazon, a Microsoft, a
Twitter.

Anzi. Proprio la lotta alla pandemia richiederebbe l’acquisizione del bagaglio di conoscenze
immagazzinato dagli oligarchi della rete: oltre la scelta alquanto fragile dell’App Immuni.

Ecco, la relazione di Soro non ha toccato tali punti strategici, ancorché ne abbia messo le
fondamenta sollecitando il regolamento attuativo del d.lgs n.51 del 2018, vale a dire la trasposizione
della direttiva europea 2016/680, che all’articolo 20 contiene in nuce il transito dalla cultura
privatistica a quella pubblica nel trattamento dei dati. Un altro capitalismo.

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