Rai, proposta di nuova governance. Ma più delle regole conta la politica

Rai, è stata presentata alla Camera dei deputati la proposta di Liberi e Uguali di riforma della struttura di indirizzo e comando della Rai.

Rai. Basta chiamarla «governance», con linguaggio reaganiano, suggerisce Vincenzo Vita in questo articolo pubblicato anche dal Manifesto. La conferenza stampa ha visto protagonisti Federico Fornaro, il capogruppo, e Guglielmo
Epifani.

Fornaro, sempre tenace e laborioso, ha illustrato i punti essenziali del progetto di legge. Innanzitutto, la scelta di un vertice «duale» e non monocratico. Sulla base delle opportunità offerte quanto al diritto societario dall’art. 2049-octies e seguenti dal codice civile.

Senza clamori rivoluzionari, bensì attenendosi alla logica prudente di piccoli ma fattivi passi, si è
preferita una strada compatibile con la normativa vigente.

Il doppio livello di indirizzo e comando ha il senso di staccare il consiglio di amministrazione dal
controllo diretto dei gruppi di pressione, politici o salottieri o lobbistici che siano.

Così funzionano, mutatis mutandis, i servizi pubblici in Germania o in Gran Bretagna.

Nel primo caso con un’istituzione sovraordinata espressa dai Lander e dalle associazioni della
società civile. Nel secondo con una più secca suddivisione tra un organo dei «governatori» e uno dei
direttori. E così funziona pure il pianeta pubblico europeo di Euronews.

L’articolato riprende e aggiorna un filo conduttore antico. Dal ddl 1138 del centrosinistra 1996-2001
bloccato dall’ostruzionismo delle destre e dal fuoco amico. All’ipotesi arricchita da migliaia di firme
di Tana De Zulueta. Al progetto dell’allora ministro Gentiloni. A diverse altre ipotesi (tra cui quelle a
firma Giulietti e Zaccaria). All’accuratissimo testo frutto di una serie infinita di confronti promossi da
MoveOn depositato nella passata legislatura da Fratoianni, Civati, Scotto, Zampa, Pannarale e
Pastorino.

In talune proposte si ipotizzava pure il trasferimento della proprietà formale dal ministero
dell’economia (com’è oggi) ad una specifica fondazione. Al riguardo, Fornaro si è detto aperto, con
giudizio.

Tuttavia, il merito di LeU è di aver riaperto il dibattito su di un tema ormai negletto. Sceso molto
nelle priorità quotidiane. Malgrado la riforma della Rai sia contenuta nel punto n.14 del programma
del governo presieduto da Giuseppe Conte.

È vero che esistono svariate proposte, a cominciare da quella del senatore Primo Di Nicola del
Mov5Stelle.

È lecito attendersi un vero confronto, prima che sia troppo tardi. E questo farebbe onore a Liberi e
Uguali.

La fisionomia della proposta n.2406 illustrata ieri è, dunque, innestata sul modello duale. Un
consiglio di sorveglianza di quindici componenti, il cui presidente è nominato dai presidenti delle
camere e composto da sei personalità elette da camera e senato.

Inoltre, da due indicate dall’assemblea degli azionisti, da due dalla società italiana autori ed editori
(Siae), da due espresse dai dipendenti dell’azienda, da due dalla conferenza dei rettori. Sempre con
garanzia di rispetto delle differenze di genere.

Il consiglio di sorveglianza nomina presidente e gli altri due componenti del secondo livello, il
consiglio di gestione. In quest’ultimo, il presidente assume pure i poteri di consigliere delegato.
Vengono opportunamente indicati i casi di incompatibilità e di decadenza, riconoscendo il valore
cruciale del servizio pubblico.

Per evitare sgradevoli lottizzazioni «a pacchetto», la durata degli organismi è differenziata. Sei anni
per il consiglio di sorveglianza e tre per il cugino gestionale. Naturalmente, sappiamo che
l’autonomia e l’indipendenza della Rai non dipendono solo dai meccanismi di nomina.

Conta soprattutto il clima politico e morale che circonda l’apparato pubblico, oscuro oggetto del
desiderio di parti rilevanti del ceto politico, smaniose di andare in televisione piuttosto che di
occuparsi con cura e passione dei media vecchi, nuovi e nuovissimi.

Facciamo voti perché passi la riforma e affinché si utilizzi la proposta depositata da Fornaro come calco su cui lavorare velocemente.

E che si abroghi una volta per tutte la legge n.220 del 28 dicembre del 2015. Sì, la leggina voluta da
Matteo Renzi, con l’«uomo solo al comando», finita nella versione de «L’armata Brancaleone».

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