Così mi stampo una pistola in 3D. L’arma di plastica fai da te spara

di Warsamè Dini Casali
Pubblicato il 7 Maggio 2013 - 12:37| Aggiornato il 16 Marzo 2023 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Così mi stampo una pistola in 3D. L’arma di plastica fai da te spara. Ho deciso di stamparmi una pistola. Seguirò l’esempio di un texano che ce l’ha fatta. La pistola stampata in 3 D di Cody Wilson spara davvero, ha fatto i test al poligono. L’ha chiamata Liberator: lui ha 25 anni, è un mezzo geniaccio del computer, è un anarchico libertario che crede nella difesa personale. Io no. Voglio solo sapere come ha fatto e capire, tra l’altro, che razza di macchina è una stampante in 3D.  Su giornali e web non si parla d’altro: sono riuscito a vedere un portapenne realizzato con stampante in 3D, e anche una scarpa estiva (in foto sul Corriere della Sera). A occhio sono delle “plasticate”, come la pistola: pare però che la plastica sia resistente al calore, al punto, come la pistola di Cody, di poter sparare e subito dopo esser pronta a far fuoco di nuovo.

Ho paura non sia così facile costruirmela da solo la pistola. Le stampanti in 3 D costano un occhio della testa (Cody la sua l’ha pagata 9 mila dollari usata). Ma, quel pistolero digitale di Cody, si dà il caso sia anche anarchico e la sua invenzione l’ha messa in rete, open source, come si dice: in pratica, scarichi sul web i file per riprodurre i pezzi della pistola da assemblare, poi li invii a uno dei servizi online che stampano oggetti su ordinazione e poi te li spediscono a casa in busta anonima. A quel punto servono doti minime di assemblatore, non più di quanto ne occorrano per costruire un modellino di aereo.

La pistola si compone di sedici parti da assemblare, un file Cad (quello che restituisce la tridimensionalità) per ogni pezzo. Si chiama Liberator, in ricordo di quelle pistole usa e getta realizzate durante la seconda guerra mondiale per paracadutarle in Europa. La macchina stampante in 3D l’ho vista poi: è grande come un piccolo armadio. A prima vista una normale stampante un po’ cresciuta. Errore: pare che questa macchina inaugurerà la prossima rivoluzione industriale, la terza. Sì perché questa macchina, una volta istruita, inizia a secernere, lumaca meccanica digitale, una piccola quantità di materiale plastico che, strato dopo strato realizza l’oggetto desiderato. Parliamo di costruirsi oggetti da sé a partire da modelli digitali: ognuno il suo, una concezione artigianale applicata ala tecnologia del terzo millennio. E’ l’evoluzione materica, plastica del download.

Distratto dalle magnifiche sorti e progressive in 3 D dimenticavo la pistola. Mi sa che l’anarchico reazionario Cody Wilson ci marcia un  po’ con la storia dell’organizzazione no profit Defend Distributed, la cui ragione sociale ha lo scopo di diffondere le “Wiki-weapons”, sorta di campionario online di armi stampabili. Non so se le Camere di Commercio italiane approverebbero. In America le cose, a proposito di armi, vanno diversamente. L’annuncio della pistola fai da te (da te assembli solo, come abbiamo visto) ha messo in allarme l’esiguo drappello di avversari della National Rifle Association, la lobby delle armi americana che nemmeno davanti alle ultime stragi recede di un millimetro. E infatti le riforme di Obama per limitarne l’uso non hanno fatto un mezzo passo avanti.

In teoria, proprio la NRA potrebbe in un futuro prossimo diventare la vera vittima in un business delle armi mutato radicalmente. Per ora bisogna rilevare che l’arma stampata in 3D non ha problemi in un metal detector. E’ per questo che Liberator ha bisogno, per legge, di un percussore di metallo. Ma, è destino dell’open source che ognuno programmi a suo piacimento i pezzi che intende realizzare. E fregarsene del numero di serie imposto per legge. Poi li voglio vedere quelli di CSI trovare il colpevole con l’esame balistico.