ROMA – Maradona, ultimo ko del Fisco. Dopo il redditometro, il riccometro… Maradona ha sconfitto il Fisco. Maradona ha infilato l’ultimo gol nella porta dell’Agenzia delle Entrate. Maradona mejo ‘e Befèra. Napoli pronta a sacrificare il vitello più grasso per il ritorno del prodigo scugnizzo. Evasione, ma quando mai. Per quella, citofanare a Ferlaino. Anche se poi, iscritto a ruolo per mancati versamenti Irpef dall’85 al ’91, c’è un certo Diego Armando Maradona nato a Lanùs, Argentina, e la sommetta contestata ammontava, fino a ieri, a 37 milioni di euro, grazie soprattutto a una maturazione degli interessi di 3000 euro al giorno. Gli avvocati Pisani e Scala, due tra le centinaia di professionisti devoti al culto maradoniano che lo assistono gratis, hanno annunciato la buona novella: è finita, la Commissione Tributaria si è arresa.
Ma una vittoria del Pibe è sempre un motivo di riscatto, di rivincita sociale, fosse contro l’odiato Stato vessatore oppure l’America imperialista. Chissà cosa ne pensano i vari Chavez e Castro, suoi tardivi mentori e protettori, di un milionario che non partecipa come deve al bene pubblico fottendosene di pagare le tasse. “Maradona ha sconfitto il Fisco”: più che a una banale metafora sportiva, sembra di assistere al giusto compiacimento di chi l’abbia avuta vinta su un male incurabile. Maradona taumaturgo?
Se non cura gli scrofolosi come i re, è sicuramente in grado di ipnotizzare le masse e, comunque, il tunnel al mastino Befera suscita la ola, la standing ovation degli italiani che di riccometri (che in realtà calcolerebbe l’indice di povertà), spesometri, redditometri voglion sentir parlare solo fino a quando la mirabolante pretesa di stangare gli evasori resta una bella teoria. Ci avete fatto caso? Con le elezioni alle porte tutti i politici fanno a gara a nascondere le tracce dei loro provvedimenti fiscali: l’Imu è figlia di nessuno, il redditometro lo schifa perfino Monti, il riccometro è stato rimesso in garage.
Sacrificio, redenzione, vendetta. Il povero Diego ora potrà coronare il suo sogno di allenare il Napoli senza che qualche sgherro del Fisco metta le mani sul brillocolo che portava all’orecchio (prontamente restituitogli dal discepolo Miccoli che lo ricomprò all’asta giudiziaria), o su uno dei suoi Rolex (ne portava due uno per polso) come un qualsiasi dipendente del Napoli Calcio rapinato tra i vicoli (Hamsik, Cavani, la lista è lunga), senza che nessuno osi confiscargli i 2500 euro della comparsata tv a Ballando con le stelle. Spiccioli a fronte dell’evasione milionaria, spiccioli di ingratitudine e lesa maestà, frutto del rancore dell’ispettor Befera, che nulla ha da invidiare all’ossessionato ispettor Javert dei “Miserabili” nella sua ostinata caccia al povero Jean Valjan colpevole di aver rubato un solo tozzo di pane.
Maradona preferisce Dumas padre e tornerà ricco e spietato. Sentite gli avvocati del novello Conte di Montecristo: “Maradona è finalmente libero dall’incubo del fisco e dalle strumentalizzazioni a suo carico e ha dato mandato di agire in giudizio nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e dell’Agente di riscossione per chiedere il risarcimento dei danni personali, all’immagine, patrimoniale e da perdita di chance subiti in questi anni di persecuzione con cartelle pazze: risarcimento per una somma quanto meno equivalente alla stessa pretesa ingiustamente addebitatagli, e cioè 40 milioni di euro”.
Per regalare quella meraviglia irripetibile che fu il Maradona in calzoncini corti, Ferlaino sborsò 13 miliardi e mezzo delle vecchie lire (soldi che all’inizio nemmeno aveva). A noi, vile massa di anonimi contribuenti, è costato giusti giusti una ottantina di milioni di euro. In fondo, meno di un Cristiano Ronaldo qualsiasi.
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