In questi giorni si sta parlando molto del nuovo adattamento cinematografico di American Psycho. L’omonimo romanzo di Bret Easton Ellis, uscito nel 1991 e rivelatosi un best seller mondiale, presenta ai suoi lettori una durissima critica al sistema yuppie newyorkese e a tutte le sue più profonde contraddizioni. Il romanzo lanciava inoltre la figura del protagonista, Patrick Bateman. Il giovane di successo incarna tutte le caratteristiche di quel mondo frivolo e spietato. Dietro gli abiti firmati e il bell’aspetto, però, si cela la sua natura più oscura, ovvero quella di uno spietato serial killer.
Il progetto di un nuovo adattamento cinematografico del romanzo di Ellis è affidato alla regia di un inesauribile Luca Guadagnino. Il suo ultimo lavoro, Queer, tratto dall’omonimo romanzo di William S. Burroughs, verrà distribuito nelle sale a febbraio. Il regista palermitano, però, pare non volersi fermare e da tempo si parla della sua versione di American Psycho. Inoltre, nei giorni scorsi Variety ha fatto trapelare la notizia sull’attore che dovrebbe interpretare il ruolo del protagonista. Sarà infatti Austin Butler a vestire i panni di Patrick Bateman.
Nel 2000, dopo una produzione estremamente travagliata, usciva nelle sale un film che avrebbe fatto conoscere al grande pubblico l’opera di Ellis e il suo iconico protagonista Patrick Bateman, interpretato da un giovane Christian Bale sulla rampa di lancio. Oggi, infatti, vi consigliamo American Psycho, di Mary Harron.
Il film racconta le vicende di Patrick Bateman (Christian Bale), un giovane agente finanziario che gode dei privilegi di una vita estremamente agiata: ha il suo bellissimo appartamento in centro a New York, mangia con i colleghi nei migliori ristoranti della città, intrattiene relazioni amorose e sessuali con chi vuole, ha il fisico più curato di chiunque altro e l’aspetto di un giovane playboy in abiti eleganti.
Quella di Patrick è la tipica vita di uno yuppie newyorkese di fine anni Ottanta. Ma non tutto appare luccicante ed entusiasmante come New York e lo stesso Bateman vorrebbero farci credere. La mente di Patrick, infatti, è quella di uno spietato serial killer, segnata da una profonda follia che lo spinge a commettere numerosi omicidi.
La sua furia omicida raggiunge l’apice con l’assassinio creativo e a tempo di musica di un suo collega, Paul Allen (Jared Leto). Il mondo intorno a Patrick si fa sempre più piccolo, quando inizia a percepire i tratti della sua follia e quando il detective Donald Kimball (Willem Dafoe) comincia ad indagare sull’omicidio di Allen.
Pur prendendo le distanze dai connotati di un film capolavoro, poteva in effetti venirne fuori qualcosa di meglio, il film diretto da Mary Harron si è conquistato negli anni lo status di cult. Il merito è da rintracciare soprattutto nella potenza del suo protagonista, attorno al quale però si è creata anche una fastidiosa alterazione idealizzante, che paradossalmente contrasta con determinati principi alla base del romanzo di Ellis.
Il film, e naturalmente il libro dal quale è tratto, presenta un protagonista che è figlio di una società edonista, distorta e capitalista, che confeziona i suoi individui-prodotti per poi rivenderli commercializzandone la loro qualità più superficiale, ovvero l’apparenza. Nonostante l’estremizzazione narrativa, questo tipo di contesto sociale non si distanzia poi così tanto da quello attuale, in cui dominano gli altari virtuali sui quali si costruisce, tramite social, la propria maschera.
La follia che avvolge la mente di Bateman ha origine dal punto di contatto tra il suo squilibrio e i costanti impulsi esterni della società a cui appartiene, quelli che lui raccoglie sfamando il proprio subconscio. La deriva di questa società porta gli individui che ne fanno parte a soddisfare le proprie esigenze illusorie, quelle che la società stessa mostra loro come nutrimento necessario. Nella mente di molti queste esigenze rispondono ai canoni del lusso e dell’attaccamento morboso al proprio status, in quella di Bateman avviene invece un cortocircuito. Le conseguenze lo costringono ad appagare certi istinti primordiali, che il mondo intorno a lui risvegliano con la stessa semplicità e naturalezza con cui si mostra un biglietto da visita.