
La locandina, il consiglio cinematografico di oggi: Biancaneve e i sette nani - Blitz Quotidiano
Qualora voleste (ri)approcciarvi ai classici Disney sulla piattaforma ufficiale, notereste già da diversi anni la comparsa di un particolare disclaimer che anticipa la riproduzione di alcuni film d’animazione, quelli più vecchiotti, informando il pubblico della presenza di contenuti ritenuti offensivi a causa di “rappresentazioni negative” e “denigrazioni di popolazioni o culture”. Questa specifica iniziativa si inserisce nel più ampio contesto di una presunta pulizia di coscienza, quella che Disney sta portando avanti da diversi anni riassestando maldestramente il tiro attorno ai propri classici.
Tra la cancel culture, operante tramite i precetti più estremi della cultura woke, e l’intervento totalizzante e arbitrario del politicamente corretto, Disney soprattutto pare aver trovato una quadra già ampiamente criticata, ovvero una direzione di tendenza attraverso la quale si cerca il più possibile di apparire puri, cristallini e ben rappresentativi nei confronti delle minoranze. Se questo fosse un orientamento autentico e genuino, parleremmo di qualcosa di nobile, invece ci ritroviamo a discutere di un’operazione pretestuosa sempre più slegata dalle intenzioni artistiche, goffamente sottoposte allo scanner ideologico.
Biancaneve, la mela avvelenata del momento
Disney, percorrendo con assoluta disinvoltura questa strada, negli anni ha proposto anche delle riletture, spesso in live action, dei propri classici, quelli intramontabili di cui il pubblico si è innamorato. L’ultimo, in ordine di tempo, è il remake di Biancaneve, partorito nelle acque agitatissime delle polemiche e dato in pasto al pubblico. La critica più ricorrente e feroce mossa al film è quella di aver ancora un volta ricamato, all’ennesima potenza, uno spettacolo basato quasi esclusivamente sui principi delle tendenze sopracitate, nell’ansia di voler piacere e di farsi accettare da tutti, a tutti i costi. Cade, e lo fa rumorosamente, non riuscendo, ironia della sorte, a trasmettere alcun messaggio valido o interessante ma solo evidenti forzature e quelli che ormai risultano essere dei fastidiosi stereotipi.
Questo “nuovo” progetto di Biancaneve, una versione 2.0 ripulita e modernizzata, risulta essere in linea con lo standard adottato da tempo, quello che Disney spaccia e sbandiera come una direzione progressista che “sta sul pezzo”, ma che in definitiva fa del revisionismo un mero pretesto concettuale tanto chiassoso quanto poco artistico. Poco da discutere, invece, sulla qualità tecnica del film, segnata, e già si intuiva dal trailer, da una rappresentazione fiabesca posticcia e rielaborata con una CGI di difficile digestione.
Biancaneve e i sette nani
Detto questo, perché del film se ne è già fin troppo discusso per quella che è la bassa qualità proposta, meglio riaccasarsi nelle atmosfere del film originale, quel Biancaneve e i sette nani che fu il primo lungometraggio d’animazione tradizionale e soprattutto il primo classico Disney. Basato sull’omonimo racconto dei fratelli Grimm, il film segnò una decisiva svolta artistica e commerciale per Disney, un progetto rischioso e coraggioso che alla fine rivoluzionò per sempre il mondo dell’animazione. Altri tempi, certo, parliamo del 1937, ma è comunque strano percepire il contrasto tra il salto nell’ignoto dell’epoca e l’intorpidimento artistico dell’attuale Disney, che in questo senso risulta essere ormai la bella addormentata dell’industria cinematografica.
Ciò che stupisce del Biancaneve originale, contestualizzandolo all’universo filmico dell’epoca, è il lavoro tecnico svolto sulle singole immagini, elaborate con l’introduzione della profondità di campo e sempre accompagnate da un suono o più suoni specifici, una caratteristica che è naturale oggi per l’animazione ma che ottant’anni fa risultava essere assolutamente pionieristica. Dal punto di vista narrativo, invece, il film si avvaleva di una caratterizzazione dei personaggi inusuale per il mondo animato dell’epoca, attraverso la quale ogni singolo nano aveva una propria personalità e soprattutto un tratto grafico distintivo e ben definito. Il tutto poi veniva presentato al pubblico con quelle peculiarità del musical che fecero la fortuna di Disney e non solo.