Luigi Degli Occhi, un ragazzo di 14 anni di Milano con disturbo dello spettro autistico, ha compiuto un’impresa davvero straordinaria. Il ragazzo, infatti, si è imbarcato su un volo per la Tanzania e ha coronato il suo sogno di scalare il Kilimangiaro, la montagna singola più alta del mondo. Con il supporto di Massimo Magnocavallo, che da tempo segue e allena gruppi di ragazzi autistici, Luigi ha dimostrato con la sua impresa che niente è impossibile e che anche gli ostacoli all’apparenza più insormontabili possono essere affrontati e superati.
Il mondo del cinema è ricco di narrazioni di questo tipo, spesso frutto dell’immaginazione dei propri autori oppure basate su storie vere. Tra queste c’è la storia della tragedia dell’Everest del 1996, una disastrosa spedizione che portò alla morte di otto scalatori. La tragedia fino a quel momento aveva registrato il più alto numero di vittime nel tentativo di ascesa alla vetta del Monte Everest. Un record negativo superato dalla valanga del 2014, che causò 16 morti, e dal terremoto del 2015, che ne causò invece 19.
Alcuni sopravvissuti alla spedizione del 1996 hanno parlato di quella tragedia tramite saggi e racconti vari: Aria sottile di Jon Krakauer, Everest 1996 di Anatolij Bukreev e Gary Weston Dewalt e A un soffio dalla fine di Beck Wethers. Sugli eventi di questa sfortunata spedizione, inoltre, è stato realizzato un film uscito nel 2015. Oggi, infatti, vi consigliamo Everest, di Baltasar Kormákur.
Everest, di Baltasar Kormákur
Il film documenta la spedizione nella quale un gruppo di persone, guidate dall’alpinista esperto Rob Hall (Jason Clarke), coltivano il desiderio di raggiungere la vetta più alta del mondo. Mitizzata, celebrata oltre ogni immaginazione e perfino venerata, quello dell’Everest non si presenta solo come un “semplice” punto da raggiungere sulla mappa, ma per ogni componente della spedizione rappresenta qualcos’altro. C’è chi ci si approccia per liberarsi da una condizione di vita deprimente, chi vuole raggiungere la vetta per potersi vantare per sempre di averlo fatto, chi ha in mente di scrivere un articolo, chi vede nel raggiungimento del punto più alto l’ombra vacua del denaro e chi, infine, insegue il proprio sogno. Quasi tutti inevitabilmente accomunati da un certo grado di dilettantismo.
La spedizione si mette subito male. Nell’affollamento del campo base, infatti, il gruppo incontra i componenti di un’altra spedizione, guidata da Scott Fischer (Jake Gyllenhaal). Con un approccio il più possibile di collaborazione, Hall e Fischer guidano ognuno il proprio gruppo verso gli oltre 8mila metri del monte Everest. Qualcuno alla fine riuscirà anche ad arrivare in cima, ma una terribile tempesta di neve, giunta improvvisamente, minaccia la discesa e la vita di tutti gli scalatori coinvolti.
Ogni mossa conta
Lassù, sul punto più alto, non sono concessi errori e ogni piccola mossa, giusta o sbagliata, conta e delimita il confine tra vita e morte. Uno dei protagonisti, la guida esperta Rob Hall, commette il più umano degli errori, ossia quello di cedere alle inafferrabili suggestioni dell’emotività che lo spinge a caricarsi sulle spalle tutto il peso della sua spedizione. Costi quel che costi, anche quando la propria esperienza suggerirebbe il ragionamento riguardo alle avversità, Hall soccombe a un’umanità che in quelle condizioni particolari, quando condizionata dal pensiero pressante della morte, si esaspera e si amplifica alle stessa velocità e potenza di una tempesta di neve in arrivo.
Nonostante trapeli la volontà più o meno intenzionale di non esporsi, di non avventurarsi nei sentieri della presa di posizione netta riguardo alla moralità di alcuni personaggi, imboccando invece quello del più semplicistico intreccio degli eventi, Kormákur riesce a confezionare un film la cui forma, lontana dalla spettacolarizzazione dozzinale, si assesta sulla dilatazione del ritmo, sul senso della misura che non ammette giochi virtuosistici. Il rischio di non suscitare immedesimazione attraverso i propri personaggi c’è, è innegabile, e in questo caso dipende molto dalla sensibilità di ognuno, ma il film ha il merito di tradurre per immagini (alcune davvero spettacolari) gran parte della tragicità degli eventi narrati, rivelando anche alcuni risvolti interessanti e per nulla banali.