In questi mesi, in realtà forse da molto più tempo, non si fa altro che parlare di intelligenza artificiale, tra sviluppo, innovazione e qualche timore. Proprio riguardo questo delicato tema, oggi vi consigliamo un bellissimo film di qualche anno fa, Ex Machina, diretto da Alex Garland.
Ex Machina, di Alex Garland
Si parte sempre da lì, dalla trama. Un giovane programmatore, Caleb, vince un concorso presso la più grande società di internet al mondo, la BlueBook, per cui lavora. Il premio? Una settimana in un meraviglioso rifugio di montagna ultratecnologico in compagnia del CEO della società (Oscar Isaac), in poche parole a stretto contatto con il suo capo. La sua gita assume poi i caratteri di un particolare esperimento, che coinvolgerà i due uomini e un’affascinante donna robot (Alicia Vikander). Ben presto, però, l’atmosfera si fa tesa, trasformando l’esperienza in una vera e propria battaglia psicologica tra uomo e macchina.
Ex Machina, questioni urgenti
Data la natura filosofica del film, sulla quale potremmo metterci a scrivere e non finire mai più, ci focalizziamo solo su due aspetti, l’uno conseguenza dell’altro, ovvero: la creazione dell’intelligenza artificiale rende l’uomo simile a Dio? Fin dove ci si può spingere? Il progresso tecnologico oggi corre veloce e più che mai bisognerebbe conoscerne determinati limiti. Un’eccessiva elaborazione tecnologica, cosa che il film mette in luce, potrebbe indurre qualcuno a credere di esserne l’assoluto padrone, l’indiscusso “creatore”, un uomo che si è fatto Dio, insomma.
Di contro, il creare qualcosa di “perfetto” come un’intelligenza artificiale umanoide capace di assumere le sembianze di una persona, ma migliorata in ogni aspetto, potrebbe generare un dilemma etico riguardo l’empatia e l’immedesimarsi della macchina in un essere umano. Il film di Alex Garland introduce questi concetti e mille altri, sviscerandoli, talvolta anche solo accennandoli, con filosofica pazienza scenica e attenzione ai dettagli psicologici dei personaggi. Capolavoro? No, ma tanto basta per farci interrogare genuinamente su questioni di stretta attualità.