La stagione calcistica, nonostante il freddo invernale, sta entrando nel vivo di una fase caldissima. Nei campionati si stanno delineando determinate situazioni di classifica, con alcune squadre rivelazione e altre già ampiamente sotto la lente d’ingrandimento delle critiche. Ci avviciniamo al giro di boa della stagione, ovvero il classico momento in cui si tirano le prime somme e si iniziano a fare calcoli. Gli stessi che molti tifosi si ritrovano a dover fare, per esempio, analizzando la posizione in classifica della propria squadra in Europa.
In questa fase calda della stagione, i tifosi si stringono intorno alla propria squadra, nella vittoria così come nella sconfitta, spesso criticando e contestando formazioni e risultati. L’essenza di questo sport sta proprio in questo, nella vicinanza, spesso emotivamente accanita, dei tifosi di tutto il mondo.
Il cinema pare sia capace solo di abbozzare un sentimento così complesso e romantico come quello della tifoseria, talvolta non rendendogli giustizia o riproducendo lo spettacolo di una partita di calcio nella maniera tecnicamente più goffa e banale possibile. Nonostante molte produzioni abbiano tentato di raccontare il calcio, ce n’è una che è riuscita a catturare la mistica essenza attorno alla figura del tifoso, con il riguardo (giustificato) di non volersi lanciare nella rappresentazione fittizia di una partita. Oggi, infatti, vi consigliamo Febbre a 90°, di David Evans.
Paul Ashworth (Colin Firth) è un professore di 35 anni e un accanito tifoso dell’Arsenal, che però non gli sta regalando particolari gioie calcistiche. Nella scuola media dove insegna, Paul incontra un’altra insegnante, Sarah Hughes (Ruth Gemmell), all’apparenza molto seria e riservata. I due decidono di frequentarsi, scontrandosi su diversi aspetti: lui le dice di essere fin troppo formale e troppo attaccata al suo lavoro; lei gli confessa di non capire la sua “malattia” spropositata per il calcio. Nonostante le divergenze, i due vanno a vivere insieme, mentre la stagione dell’Arsenal entra nel vivo portando alla luce tutta la passione di Paul per il calcio, quella che però Sarah considera “infantile”.
Come detto, la storia del cinema ha palesato negli anni una certa (involontaria) incapacità di rendere giustizia alla bellezza di una partita di calcio. Questo perché non si riesce a catturarne l’autenticità, spesso scivolando nel ridicolo. Così ogni appassionato si ritrova a dover fare i conti con un portiere che va da tutt’altra parte rispetto alla palla o con le corse palesemente a vuoto dei calciatori/attori. Per fortuna c’è chi ha deciso di mostrare poco o nulla del campo verde, focalizzando la propria attenzione sul calcio visto da una prospettiva diversa.
È quello che fa Febbre a 90° (1997), raccontando con la sagacia della commedia sentimentale e con il trasporto tematico del calcio un certo romanticismo attorno alla figura del tifoso, quello vero. Il calcio, come ragione di vita, diventa qualcosa che oltrepassa certi schemi sociali, rivelando la propria natura anche contradditoria ma senza dubbio “salvifica” nelle situazioni più complesse della vita di un tifoso.
Per il protagonista Paul Ashworth, per esempio, questa passione si è rivelata essere l’unica ancora di salvezza nella complessa riconciliazione con il proprio padre. O ancora, il calcio ha permesso a Paul di decifrare la propria identità, non solo come tifoso, ma perfino quella relativa alla sua posizione sul posto di lavoro. Quante storie simili si possono raccogliere e raccontare tra i tifosi di tutto il mondo? Probabilmente molte. È il bello del calcio.
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