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La locandina, il consiglio cinematografico di oggi: Final Destination, di James Wong - Blitz Quotidiano
Qualche settimana fa è stato pubblicato un primo teaser trailer del sesto capitolo di una delle saghe horror più iconiche degli anni Duemila, ovvero quella di Final Destination. Il film, dal titolo Final Destination: Bloodline, si presenta al pubblico rilanciando un franchise rimasto in letargo dal 2011, quando nelle sale uscì un quinto capitolo particolarmente convincente. Un omaggio presente nel trailer suggerisce la volontà da parte degli sceneggiatori di perseguire una strada il più possibile fedele alle tradizioni della saga, quelle attraverso le quali la morte si fa elaborata e imprevedibile, sprigionando uno spettacolo visivo ingegnoso e dall’indubbio fascino creativo. L’uscita di questo sesto capitolo è programmata per il 16 maggio. Nell’attesa, oggi vi consigliamo il primo film della saga di Final Destination, ossia dove tutto è cominciato con quel fatidico volo 180.
Final Destination, di James Wong
Alex Browing (Devon Sawa), con i suoi compagni di liceo è pronto a partire per una gita scolastica destinazione Parigi. Poco dopo l’imbarco dall’aeroporto Kennedy, il ragazzo ha una particolare e inquietante visione nella quale vede il proprio aereo, il volo 180, esplodere una volta decollato, con la conseguente morte di tutti i passeggeri a bordo. In preda al panico, Alex esorta le persone a scendere, in un putiferio generale che culmina con il suo allontanamento dall’aereo, così come quello dei suoi compagni Billy Hitchcock e Tod Waggner, la professoressa Valerie Lewton, Carter Horton e Terry Chaney, e infine Clear Rivers (Ali Larter), una donna che ha creduto alla premonizione di Alex.
Una volta scesi, tutti iniziano a rimpiangere la loro vacanza, fino a quando assistono, increduli e spaventati, allo spettacolo catastrofico e agghiacciante che Alex aveva predetto. La morte, però, non accetta che qualcuno possa ingannarla e arriverà a sfruttare tutte le armi più creative a sua disposizione per riprendersi le vite dei ragazzi che le sono sfuggite.
La morte si fa ingegnosa
Diciamocelo chiaramente, sono poche, anzi pochissime, le saghe horror realmente di qualità uscite negli anni Duemila. Esaurite idee creative, spremute fino all’osso quelle che sono state le più brillanti intuizioni dell’epoca, si è arrivati a fare i conti con gli scarti, gli scarti degli scarti soprattutto. Ma proprio allo scoccare del nuovo millennio, è stato realizzato un film che è riuscito con freschezza e una buona dose di originalità a infondere nel suo piccolo un po’ di linfa al genere, soprattutto al sottogenere dello slasher sul quale il cinema si è accanito senza pietà . Final Destination, pur non essendo certo un capolavoro, in debito evidente con alcune suggestioni derivanti da Il sesto senso, uscito appena l’anno prima, riesce a mantenere vivissimo un certo interesse, riconducibile anche a una sapiente commistione di generi che buona parte della critica cinematografica attribuisce erroneamente (opinione di chi scrive) all’indecisione narrativa.
Si parlava di slasher e dunque è impossibile non citare il principale motivo per cui questo film riesce a mantenere sempre alto il livello del coinvolgimento. Nessuna maschera, nessun coltello da cucina, in Final Destination è il Tristo Mietitore in persona a prendersi carico del massacro degli sventurati teenager di turno. Gli sceneggiatori hanno potuto così esaltare la creatività dietro ogni morte, esasperata secondo i principi dell’imprevedibilità e della fantasia più sfrenata. Un gioco, una sorta di patto narrativo con il pubblico, che è riuscito a mantenersi inalterato, nonostante l’ovvio attenuarsi della novità , anche nei capitoli successivi, soprattutto nel secondo e nel quinto.