Nella giornata di ieri è andata in scena la cerimonia di insediamento di Donald Trump, il 47esimo presidente degli Stati Uniti. Al suo secondo mandato, Trump è il primo dai tempi di Grover Cleveland, alla fine dell’Ottocento, a servire in due mandati non consecutivi, separati dall’uscente amministrazione Biden. Il cambio di Presidente, critiche e opinioni a parte, è sempre un momento storico che monopolizza l’attenzione mondiale dei media di tutto il mondo.
Riguardo all’affascinante mondo politico di Washington, il cinema e la televisione ne hanno spremuto l’immaginario fino all’ultima goccia creativa, realizzando spesso opere dal grande valore contenutistico e altrettanto spesso altre che sono finite nel mare magnum della mediocrità artistica. Se c’è una serie che più di altre ha saputo raccontare, certamente romanzando in più punti, luci e soprattutto ombre della politica americana, quella è senza dubbio House of Cards, impreziosita da quel Frank Underwood protagonista finito di diritto nell’olimpo dei personaggi più iconici della televisione.
Si fa riferimento a una serie tv con la quale Netflix si affacciava per la prima volta sul mondo dello streaming, quello che poi avrebbe dominato negli anni seguenti. Dopo il caso delle molestie sessuali che ha travolto l’assoluto protagonista della produzione, l’attore Kevin Spacey, la piattaforma ha deciso di auto-boicottare uno dei suoi prodotti di maggior successo, eliminando la serie dal proprio catalogo. Questa poi è stata reinserita, completata da una sesta stagione che definire inutile e insipida è l’eufemismo più grande. Oggi, infatti, vi vogliamo consigliare le cinque iconiche stagioni di House of Cards.
House of Cards, di Beau Willimon
Eletto deputato al Congresso per l’undicesima volta consecutiva, Frank Underwood (Kevin Spacey) aspira a diventare Segretario di Stato nella nuova amministrazione, quella che lui stesso ha contribuito a mettere in piedi portandola a guidare il Paese. Underwood, però, non ottiene il posto, tradito proprio dal Presidente, Garret Walker (Michael Gill), che lo rispedisce sulle poltrone del Congresso. Il ruolo a cui ambisce Underwood, però, è quello della presidenza degli Stati Uniti. Fallito il primo tentativo, Underwood inizia ad escogitare un elaborato e intricato piano politico, accompagnato dall’altrettanto ambiziosa moglie Claire (Robin Wright) e dal fidatissimo collaboratore Doug Stamper (Michael Kelly).
Sfruttando i favori di una giovane e ambiziosa giornalista, Zoe Barnes (Kate Mara), Underwood muove i fili nascosti di uno spietato teatrino politico, nel tentativo di realizzare la sua vendetta e quindi di arrivare direttamente nell’ambito Studio Ovale. La strada per Underwood e compagni è lunga e lastricata di cattive intenzioni, lungo la quale chiunque provi a mettersi in mezzo finirà col pentirsene amaramente o, peggio ancora, sperare per una fine rapida e indolore.
“La democrazia è sopravvalutata”
Nata dalla mente di Beau Willimon, dall’omonima serie tv della BBC e dal romanzo di Michael Dobbs, passando per David Fincher in veste di produttore esecutivo, House of Cards è una delle serie di maggior successo della televisione moderna. I motivi della sua popolarità sono moltissimi, la maggior parte comunque legati alla figura del suo protagonista, Frank Underwood, e alla straordinaria duttilità di un attore del calibro di Kevin Spacey.
Rivolgendosi direttamente allo spettatore, sfondando magnificamente la quarta parete con il suo cinismo e la sua magnetica disinvoltura, Underwood si fa antieroe di una storia che non ammette alcun preconcetto moralista. Si fa paradigma spregiudicato di un contesto che si concede il lusso narrativo dell’iperbole. Infine, incarna l’esemplare oscuro e affascinante di un politico che indirizza i propri desideri, li antepone a tutto e a tutti, dirigendo da assoluto protagonista, elevato a status di icona televisiva, un racconto avvincente la cui natura, seducente e provocatoria, non può lasciare indifferenti.
Quello che Underwood si ritrova ad abitare, e allo stesso modo ad orientare con spietata lucidità e altrettanta ferocia, è il dietro le quinte della politica, in quei lunghi e impenetrabili corridoi in cui il potere conta più di qualsiasi altra cosa, perfino più del denaro. Se il contesto narrativo di House of Cards gioca un ruolo determinante nel fascino generale della produzione, il giusto ritmo, i dialoghi coinvolgenti e gli improvvisi colpi di scena completano il quadro di un’opera che trascende i limiti della televisione stessa spingendoli un po’ oltre, anche più in là di una sesta stagione, orfana di Spacey, assolutamente da evitare.