Il 23 gennaio uscirà in sala A Complete Unknown. Il film diretto da James Mangold, con protagonista Timothée Chalamet, si basa sulla biografia Dylan Goes Electric! di Elijah Wald e ripercorre l’ascesa di un giovane Bob Dylan nella scena musicale folk degli anni Sessanta.
La figura di Bob Dylan è una tra le più importanti e significative del secolo scorso, un cantante la cui musica ha saputo influenzare in maniera straordinaria la cultura di massa. Artista a 360 gradi, poeta, icona pop che si è fatta portavoce di un’intera generazione. Eppure, la carriera e la vita di Dylan si sono sempre smarcate dal senso di un inquadramento ben preciso, da una definizione netta, rifugiandosi dietro una posa più enigmatica e decisamente più inafferrabile. Il suo mito, infatti, sfugge tanto allo stereotipo quanto a ogni (conveniente) semplificazione.
Creare qualcosa che riesca a cogliere e a restituire la grandezza dell’immaginario dylaniano è un’impresa complicata che nasconde molte insidie. Nel 2007 usciva nelle sale un film la cui struttura narrativa esaltava, e in qualche modo delineava, le diverse sfaccettature della carriera e della vita di Dylan. Oggi, infatti, vi consigliamo Io non sono qui, di Todd Haynes.
Io non sono qui, di Todd Haynes
Il film di Todd Haynes (Carol, Cattive acque, May December) scompone la vita e la musica di Bob Dylan, raccontando la storia di sei personaggi, ognuno dei quali raffigura un aspetto differente del cantante: il Poeta (Arthur Rimbaud), il Profeta (Jack Rollins/Padre John), il fuorilegge (Billy McCarty), il falso (Woody Guthrie), il “martire del rock and roll ” (Jude Quinn), e la “stella elettrica” (Robbie Clark).
Nel quadro di un vero e proprio mosaico in continuo movimento, ogni segmento di questa personalità, che prende forma con il volto di attori diversi (Christian Bale, Marcus Carl Franklin, Cate Blanchett, Richard Gere, Heath Ledger, Ben Whishaw), racconta un determinato momento della vita di Dylan.
La scelta narrativa adottata da Haynes, la quale potrebbe apparire confusionaria e priva di punti di riferimento, in realtà appare come l’unica via percorribile al fine di modellare il proprio soggetto, quella sfuggente ed enigmatica figura che è Dylan. Si tratta di un esperimento cinematografico audace, senza dubbio, ma che infine risulta particolarmente riuscito, capace di restituire una dimensione di maschere differenti. Proprio nell’apparente confusione del tutto, in una sorta di flusso (dis)continuo, ogni segmento trova la propria collocazione filmica e in definitiva il proprio senso. Schivando i colpi del rigore cinematografico, lo stesso che affligge la struttura schematica di ogni biopic, Haynes esalta la multiforme personalità di Dylan approcciandola nell’unico modo possibile, ovvero con altrettanta creatività cinematografica.