La locandina, il consiglio cinematografico di oggi: La forma dell'acqua, di Guillermo del Toro - Blitz Quotidiano
Un gruppo di ricerca dell’Istituto di cosmologia e gravitazione dell’università britannica di Portsmouth ha pubblicato sulla rivista Nature Astronomy una particolare simulazione, i cui risultati non escludono che l’acqua sia stata un ingrediente fondamentale nella formazione delle prime galassie. Finora, infatti, non era affatto chiara l’epoca di formazione dell’acqua nell’universo, perché i suoi componenti, idrogeno e ossigeno, si sono formati in modi diversi. I ricercatori hanno dunque concluso che l’acqua è in grado di sopravvivere a processi potenzialmente distruttivi, per esempio quelli che generano le galassie, e che miliardi di anni fa potrebbe essere stata inglobata nel processo di formazione dei pianeti.
L’acqua, in stretta correlazione all’esistenza e alla sopravvivenza degli esseri viventi, è presente ovunque ed è quella componente essenziale senza la quale nulla potrebbe perdurare, e in fin dei conti neanche nascere. Un elemento, certo, ma anche un simbolo, forse il più evidente e ancestrale emblema della vita stessa.
Il cinema ha rappresentato molte derivazioni legate al profondo e antichissimo rapporto tra uomo e acqua, spesso ricorrendo, come da prassi drammaturgica, alla drammatizzazione di una relazione che infonde la vita e con la stessa “semplicità” la può strappare via dalla faccia della Terra. Oceani sconfinati, abissi inesplorati e insidiosi, specchi d’acqua, tsunami, fiumi in piena o laghi inquietanti: tutto, o quasi, in funzione di una rappresentazione allegorica la cui trasparenza riflette differenti aspetti, e paure, dell’essere umano. Oggi vi consigliamo un piccolo gioiello firmato da Guillermo Del Toro, ovvero La forma dell’acqua, un film in cui questo elemento, dominante e rappresentativo, si fa essenza significante, mutevole e vitale alla base di una favola romantica, gotica nelle suggestioni classicheggianti e fantasy nelle intuizioni proposte.
1963. Il film ci catapulta nel pieno della Guerra Fredda. Un’addetta alle pulizie, Elisa (Sally Hawkins), vive la propria routine senza particolari aspirazioni o speranze per un futuro migliore. A causa del proprio mutismo, conduce un’esistenza segnata dal silenzio e da una profonda solitudine, avvolta, perfino imprigionata, in un mondo in cui gli sguardi della gente la fanno sentire incompleta, come qualcosa di irreparabilmente rotto che non può essere in alcun modo riparato. La donna, in compagnia della collega Zelda (Octavia Spencer), viene incaricata di ripulire un laboratorio top-secret. Qui le due si imbattono in una strana creatura umanoide, reclusa all’interno di una vasca sigillata stracolma d’acqua. Pur trattandosi di un particolare esperimento governativo, supervisionato dal violento e intransigente colonnello Strickland (Michael Shannon), Elisa si avvicina alla creatura stabilendo con essa un rapporto di complicità sempre più stretto.
Immersosi nelle acque del cinema fantascientifico, scandagliato con stupore già in tenera età, Guillermo Del Toro nel corso della sua carriera ne ha esplorato le profondità, le più appassionanti e stratificate derivazioni di genere, riemergendone maestro. Con La forma dell’acqua, il regista messicano realizza una favola romantica dai toni maturi, alzando ancora di più il livello di una messa in scena capace di esistere, di comunicare con il pubblico e di perdurare anche al di fuori dei confini limitanti ma inevitabili imposti dallo schermo. Un’immersione totale, e totalizzante, che colpisce il pubblico come un’onda, con una storia commovente, arricchita delle più coinvolgenti e suggestive forme dell’onirico, capace di arrivare dritta al cuore senza alcun compromesso o macchinazione di sorta.
Del Toro, come un esploratore cinematografico inesauribile, recupera e riavvia i vecchi ingranaggi, un po’ polverosi, di un cinema lontano, quello del noir in bianco e nero, quello dei classici del musical hollywoodiano, per esempio, o quello seminale dello sci-fi anni Cinquanta, naturalmente rimandando il proprio immaginario al capolavoro Il mostro della laguna nera. L’acqua, fil rouge della narrazione, è quell’elemento sfuggente ma vitale che ricorre costantemente e che bagna ogni risvolto decisivo e sentimentale dell’opera. È la materia che dà origine al film, è l’elemento unico all’interno del quale la protagonista si sente a proprio agio. È la fonte di vita della creatura, quell’acqua che si fa pioggia e inonda ogni cosa, scorrendo incontrollata, poi quieta e finalmente libera come i più autentici sentimenti sgorganti dall’animo umano.
Quelle che un tempo furono paure e inquietudini destabilizzanti, oggi, nel cinema di Del Toro, anche le sfumature del mondo classico, cliché e modelli tipici inclusi, acquisiscono la forma immaginifica di un racconto di speranza, sulla base di quelle suggestioni un po’ demodé che il regista messicano cuce e ricuce perfettamente sulla pelle, e sulle branchie, del cinema contemporaneo.