La politica sull’immigrazione proposta e perseguita da Donald Trump sta facendo discutere mezzo mondo. Già durante il suo discorso di insediamento, badando bene all’immediatezza del suo linguaggio, aveva parlato di una vera e propria invasione di migranti dal Messico. Idee da campagna elettorale prima, ordini esecutivi poi, nel mezzo la dichiarazione dell’emergenza nazionale per l’immigrazione illegale al confine.
Una vita di frontiera: il cinema ha toccato spesso e volentieri questo tema universale, e nello specifico sono diversi i film che hanno volto lo sguardo sul confine che divide Messico e Stati Uniti. C’è chi ha realizzato documentari di denuncia e chi ha lavorato per trasposizione, adattando allo schermo la narrazione autentica, in parte drammatizzata, di quello che accade sul campo. C’è poi chi ne ha elaborato strutture comiche e satiriche, con sferzanti rappresentazioni di una realtà caricaturale. Stemperando con il cinema una situazione delicata e complessa come quella attuale, oggi consigliamo un film la cui trama, caricata con le pallottole dell’esagerazione e dell’iperbole proprie del genere di riferimento, ruota anche attorno al tema dell’immigrazione clandestina Messico-Stati Uniti: Machete, di Robert Rodriguez.
L’agente di polizia Machete Cortez viene coinvolto in uno scontro con la banda del narcotrafficante Rogelio Torrez (Steven Seagal), durante il quale quest’ultimo uccide la moglie e la figlia dell’agente sotto i suoi occhi. Sopravvissuto, Machete si rifugia in Texas, dove svolge diversi piccoli lavori. Le cose cambiano quando l’imprenditore Michael Booth (Jeff Fahey) lo ingaggia per eliminare il senatore corrotto McLaughlin (Robert De Niro), il cui principale piano politico, ispirato da un profondo odio razziale e dal fanatismo di sorta, è quello di aumentare i controlli al confine e diminuire la presenza degli immigrati messicani negli Stati Uniti.
Machete accetta ma viene incastrato, ritrovandosi di nuovo a fuggire dopo essere stato ferito da uno dei tirapiedi di Booth. In ospedale si presenta l’agente Sartana Rivera (Jessica Alba), che ha il compito di arrestarlo. Machete riesce però a sparire di nuovo, facendo affidamento sull’aiuto di Luz (Michelle Rodriguez), una ragazza conosciuta come Shè. Il complotto architettato ad hoc contro Machete gli mette di fronte diversi avversari pericolosi, tra cui il capo dei vigilantes Von Jackson (Don Johnson), il subdolo imprenditore Booth e ancora una volta il boss Torrez, con il quale ha un conto in sospeso.
Ispirato al finto trailer che fa capolino nei primi minuti del film Planet Terror, Machete è parte dell’universo Grindhouse di Robert Rodriguez e di Quentin Tarantino, quest’ultimo dietro la macchina da presa in Death Proof. Chi mastica questo genere di film ha già sicuramente visto Machete, per tutti gli altri si tratta di un mondo che omaggia spudoratamente quei vecchi film di nicchia che facevano capo al genere exploitation, popolare soprattutto negli anni Settanta negli Stati Uniti. Si fa riferimento in particolare ai B-movie, film d’azione a basso budget, talvolta un po’ trash, conditi con elementi caratteristici che esaltavano contenuti al limite (droga, sesso e violenza in dosi massicce).
Questi film venivano proiettati nelle cosiddette sale Grindhouse, il cui immaginario ha ispirato moltissimi registi contemporanei come Rob Zombie, Eli Roth e gli stessi Rodriguez e Tarantino, il quale è risalito alle origini pulp del genere, fatte proprie e rielaborate in tutta la sua filmografia.
Preamboli a parte, com’è questo Machete? Se lo si inquadra nel suo genere di riferimento risulta essere pressoché perfetto, inarrestabile nell’azione proposta, decisamente sopra le righe, eccezionale nel suo essere volutamente “tamarro”, infine meraviglioso nella rappresentazione iconografica dei suoi personaggi, e il cast stellare lo aiuta. Machete è la summa totalizzante e trascinante di tutto il cinema di Rodriguez, una lettera d’amore formato pellicola verso il cinema di genere. Dietro l’estetica esagerata, confezionata su una trama piuttosto semplice, Machete propone anche una visione estremizzata, squisitamente sgangherata, della vita di confine, quella frontiera che divide Messico e Stati Uniti e attorno alla quale ruota il dibattito perpetuo dell’immigrazione clandestina. In questo senso, la connotazione filmica di Machete si ricollega anche al mondo dei signori della droga e ai loro interessi, allo stesso modo anche a quelli dei politici corrotti.