La locandina, il consiglio cinematografico di oggi: Ogni maledetta domenica, di Oliver Stone - Blitz Quotidiano
Lo scorso 9 febbraio è andato in scena il Super Bowl, ovvero l’evento di football americano più importante e iconico. Si tratta della finale del campionato della National Football League, un appuntamento sportivo che non ha eguali, capace di tenere incollati allo schermo oltre cento milioni di spettatori. La 59ª edizione ha visto trionfare, contro ogni pronostico, i Philadelphia Eagles, con un punteggio di 40-22 contro i Kansas City Chiefs. Numerose come sempre le star presenti allo stadio, tra cui Taylor Swift, l’ex first lady Jill Biden e soprattutto Donald Trump, il primo presidente nella storia ad assistere a un Super Bowl.
Quello dello sport è da sempre un mondo che il cinema ha cercato di raccontare attraverso una connotazione il più possibile universale, con messaggi, insegnamenti, a volte fastidiosi moralismi, in grado di raggiungere la sensibilità di chiunque. Parliamo di un vero e proprio genere narrativo che il cinema ha plasmato grazie a numerose opere dal grande impatto visivo e contenutistico. Allo stesso modo, però, esiste anche una lunga serie di pessimi film appartenenti a questo genere, che lo sfruttano propinando argomentazioni discutibili e di dubbio gusto. Per fortuna, il film che vi consigliamo oggi appartiene alla prima categoria, un’opera capace di raccontare qualcosa nella forma più spettacolare e intensa possibile, propria dello stile talvolta divisivo del suo regista: Ogni maledetta domenica, di Oliver Stone.
La storia è quella degli Sharks, una squadra di football che ormai riesce a collezionare solo sconfitte e una lunga serie di risultati deludenti, in particolare dopo la morte dell’anziano proprietario. La guida tecnica è affidata a Tony D’Amato (Al Pacino), un coach senza dubbio di talento ma allo stesso modo legato a una concezione dell’allenamento un po’ all’antica. Christina Pagnacci (Cameron Diaz), la figlia dell’ex proprietario, ha un solo e inequivocabile obiettivo, ovvero quello di riportare la squadra al successo. D’Amato dovrà affrontare però diversi problemi: dagli infortuni del quarterback Cap Rooney (Dennis Quaid), che il medico di squadra Harvey Mandrake (James Woods) si ostina a far giocare, ai comportamenti arroganti e strafottenti del fuoriclasse Willie Beamen (Jamie Foxx).
Chi conosce il cinema di Oliver Stone, il suo modus operandi caratteristico, sa bene quanto il regista spinga su determinati elementi, gli stessi che esalta amplificandone al massimo tutte le sfaccettature che rimandano a una spettacolarità innegabile ma divisiva. Si fa riferimento, per esempio, all’enfasi dei propri dialoghi, veicolati da personaggi altrettanto sopra le righe. O alla ricchezza spesso strabordante delle sue immagini, piene zeppe di tecniche visive talvolta contrastanti, comunque tutte assorbite da un montaggio indiavolato, a mille all’ora, che non ammette soste lungo il proprio cammino.
Tutto questo si traduce spesso in una chiarezza espositiva a tratti sconcertante, il che potrebbe valere sia come un complimento sia come una critica, a testimonianza di certi contrasti percettivi che animano da sempre il cinema di Stone. Ogni maledetta domenica, naturalmente, non fa eccezione, anzi il tema sportivo non fa che ingigantire le caratteristiche sopracitate. Un difetto? Non necessariamente, perché proprio in questo specifico ambito il cinema di Oliver Stone pare trovare la sua collocazione più congeniale, sfruttando tutti i propri elementi senza esserne sopraffatto.
Il campo da gioco diventa quello di una battaglia epica, uno scontro senza esclusione di colpi perpetrato da un sistema che strapaga ma consuma, che innalza i propri idoli ma li getta allo stesso modo in pasto al pubblico e ai media. Un qualsiasi lancio, un placcaggio e ogni microscopico centimetro di campo guadagnato assumono le caratteristiche di una lotta per la sopravvivenza, messa in scena da Stone nella maniera più ipercinetica possibile.
Narrativamente si scivola un po’ nella retorica, un modo come un altro, il meno elegante certo, per trasmettere determinati messaggi. In questo contesto, però, anche quello che potrebbe risultare come un difetto evidente viene inglobato in una spettacolarizzazione generale appassionante, attraverso la quale lo sport fa da specchio alla natura umana. Contestualmente alle caratteristiche cinematografiche di Stone, è impossibile infine non citare l’interpretazione di uno straordinario Al Pacino, protagonista di uno dei monologhi più iconici, citati e mitizzati della storia del cinema.