La locandina, il consiglio cinematografico di oggi: Parasite, di Bong Joon-ho (Fonte Ansa) - Blitz Quotidiano
Il 6 marzo uscirà nelle sale italiane Mickey 17, il nuovo attesissimo film fantascientifico di Bong Joon-ho, con protagonista Robert Pattinson. Cresce l’attesa per l’ottavo film del regista sudcoreano, ma intanto si guarda già speranzosi al futuro. Di recente, infatti, Bong Joon-ho ha rivelato qualcosa riguardo al suo prossimo film, quel poco che basta per alimentare ulteriori aspettative su un regista, premio Oscar nel 2020, che ormai si è affermato come uno dei protagonisti del cinema contemporaneo. Sappiamo che la sua prossima produzione, che il regista stesso ha definito “il film della vita”, lo vedrà impegnato nell’affrontare il genere horror. In mezzo, però, c’è ancora la lavorazione di un’altra pellicola, una d’animazione, alla quale Bong Joon-ho sta lavorando dall’estate scorsa disegnando a mano lui stesso tutti gli storyboard dell’opera. Sarà il film d’animazione coreano più costoso di sempre.
In un’intervista a MBC Korea, il regista ha annunciato il suo prossimo film rivelandone l’incipit, misterioso e suggestivo: “Stiamo correndo attraverso la sezione sotterranea della metropolitana. Nella carrozza accanto a noi, persone che indossano abiti simili iniziano a venire dalla nostra parte. Stiamo correndo e molte persone si schierano al nostro fianco”. Nell’attesa, ci rifocilliamo con il suo film di maggior successo, quello attraverso cui il pubblico, come spesso accade quando viene incalzato dalla glorificazione dei premi, è tornato a riscoprire la bellezza del cinema coreano. Un cinema la cui grandezza, in realtà, è sempre stata sotto gli occhi di tutti o, meglio, sotto gli occhi di chi volgeva lo sguardo al di là dei bordi occidentali. Oggi, infatti, vi consigliamo Parasite, di Bong Joon-ho.
La famiglia Kim, al centro delle vicende del film, è composta dal padre Ki-taek (Kang-ho Song), dalla madre Chung-sook e dai due figli Ki-jung e Ki-woo. Vivono tutti sotto lo stesso tetto, in un piccolo e misero appartamento seminterrato. Nonostante l’affetto innegabile che li lega, si ritrovano tutti costretti ad affrontare condizioni di vita precarie, senza soldi, senza lavori stabili e senza la reale speranza di un futuro promettente. Il figlio minore Ki-woo, però, ha l’intuizione che potrebbe risolvere i loro problemi: falsifica il proprio documento per farsi assumere come tutor per la figlia adolescente dei Park, una ricca famiglia che vive in una bellissima villa ai piani alti della città. Notando che la ragazza dimostra un certo interesse per il disegno, Ki-woo decide di coinvolgere sua sorella Ki-jung, che dovrà fingere di essere una brava insegnante d’arte, permettendole così di insinuarsi allo stesso modo nella grande villa e nella vita della ricca famiglia Park. Come fanno i microrganismi patogeni con l’organismo ospite, tutti i membri della famiglia Kim si introducono lentamente nella routine dei Park, in una storia che avrà risvolti imprevisti, tragicomici e fatali.
Allo stato attuale, il cinema asiatico è quello che, con lucidità e profondità d’analisi, riesce più di altri a raccontare la realtà dei nostri giorni, rappresentandola per quella che è realmente. Al contrario, quello occidentale, soprattutto quello americano, vive ancora all’ombra dell’interdizione, di certe inviolabili inibizioni che si accartocciano sulla comodità di un passato naturalmente illustre, ma che rimane pur sempre passato. Il cinema asiatico, nello specifico quello coreano, fa tutto il contrario, scrollandosi di dosso tabù coercitivi che ne limiterebbero la creatività narrativa e tecnica.
Dopo due produzioni americane, Snowpiercer (2013) e Okja (2017), il regista Bong Joon-ho fa ritorno nella sua Corea, e lo fa in grande stile. Mescolando generi differenti (si passa dalla commedia al dramma in un meraviglioso e armonizzato battere di ciglia), il regista ci trasporta in una città, per estensione in un intero Paese, in cui il capitalismo avventato ha determinato una disparità sociale evidente ed estrema, al centro della quale i più giovani, i più vulnerabili, sono già costretti a fare i conti con il concetto di fallimento.
Nel film, la contrapposizione sociale si manifesta soprattutto nella rappresentazione delle due abitazioni, quelle delle famiglie protagoniste. Da un lato, infatti, veniamo proiettati nell’ambiente ristretto, buio e sporco dei Kim, ai margini periferici di una città sempre più grigia. Dall’altro veniamo invece accolti nel lusso di una villa moderna, quella dei Park, ampia, di design, con tanto di giardino. Eppure, nei contrasti sociali mostrati e trattati non esiste alcun accenno funzionale alla commiserazione, nessuna commovente celebrazione della povertà. Nonostante la naturale propensione del pubblico nello schierarsi con la sventurata famiglia Kim, questa agisce percorrendo la strada del grande inganno, nel caos controllato della finzione e delle falsità. Alla fine, infatti, nessuno ne esce illeso, elevato o nobilitato, ma piuttosto tutti, in misura diversa, appaiono feriti e sanguinanti nella loro nebbiosa Corea, dove le classi sociali, indistintamente, precipitano in un vortice di individualismo perenne, diabolico perché insito nella natura umana.