
La locandina, il consiglio cinematografico di oggi: Rambo, di Ted Kotcheff - Blitz Quotidiano
Sylvester Stallone, il cui nome richiama subito alla mente buona parte del cinema d’azione americano degli anni Ottanta, periodo in cui si ritrovò a misurarsi a distanza con i muscoli del collega Arnold Schwarzenegger, nel corso della sua carriera ha vinto diversi premi, alcuni dei quali non proprio lusinghieri. La carriera di Sly è iconica e ricca di successi, ma risulta inevitabilmente segnata da un’immagine ben specifica dalla quale l’attore non è mai riuscito a separarsi. Quando Stallone ha provato a percorrere strade differenti, distanti quindi dall’action e dai territori a lui più congeniali, la critica lo ha più volte massacrato ma il pubblico, che lo ha elevato a idolo indiscusso, si è spesso mostrato benevolo nei suoi confronti, perché legato a una personalità oggettivamente tra le più travolgenti e simboliche di un certo tipo di cinema.
Stallone, tornando ai premi, detiene suo malgrado un record poco invidiabile, ovvero quello del più alto numero di nomination, ben 32, e di vittorie, 10 in tutto, ai famigerati Razzie Awards, premi assegnati ai peggiori attori, registi, sceneggiatori, film e canzoni dell’anno. Al di là delle statuette, che siano gradite o meno, Stallone ha saputo ritagliarsi uno spazio considerevolmente ampio e duraturo all’interno di un settore sempre più in preda agli isterismi del momento e delle tendenze. I tempi cambiano, questo è certo, ma il suo è un nome che resta e resterà per sempre inciso nell’immaginario collettivo. Oggi vogliamo consigliarvi uno dei film di maggior successo dell’attore, senza dubbio uno dei più rappresentativi di tutta la sua carriera, all’interno della quale se si nomina Rocky Balboa è impossibile non citare l’altrettanto iconico John Rambo.
Rambo, di Ted Kotcheff
Il veterano della guerra del Vietnam John Rambo (Sylvester Stallone), sette anni dopo il suo congedo, giunge in una piccola cittadina con l’intento di visitare un vecchio commilitone. Qui scopre però che il suo amico è morto di cancro. Rambo si ritrova a vagare pensieroso per le strade fino a quando viene intercettato dallo sceriffo Will Teasle (Brian Dennehy), che lo arresta con l’accusa di vagabondaggio.
Alla stazione di polizia, il veterano è vittima degli abusi degli agenti, i quali innescano nella mente di Rambo i flashback delle torture subite durante la guerra. L’ex soldato decide così di reagire con forza, liberandosi facilmente degli agenti e riuscendo poi a fuggire dalla stazione. Una volta fuori, ruba una motocicletta e si avventura nel bosco circostante, seminando con facilità lo sceriffo Teasle. Giunto a stretto contatto con quest’ultimo, Rambo lo invita a dimenticarsi di lui, a lasciarlo andare, di non provare a dargli la caccia. Una volta scoperta l’identità dell’ex soldato, lo sceriffo decide comunque di mettersi nuovamente sulle sue tracce, ingaggiando una guerra che non potrà vincere contro un soldato esperto e letale come Rambo.
Più di un semplice film d’azione
Oggi Rambo, adattamento cinematografico del romanzo Primo sangue di David Morrell, è giustamente considerato un cult tra i più rappresentativi degli anni Ottanta. La ragione principale del suo successo, la più ovvia, è da rintracciare nell’immaginario tipico del cinema d’azione di quell’epoca, un periodo pullulante di eroi armati fino ai denti, muscolosi e inarrestabili. Nei capitoli successivi, il personaggio del veterano di guerra interpretato da Stallone incarnerà alla perfezione questo tipo di protagonista senza macchia, ma nel 1982, nel primo film, le cose si fanno più complesse e stratificate, identificative di un cinema sfaccettato e concettualmente più profondo.
Sul piatto, infatti, vengono proposti alcuni temi che vanno ben oltre i proiettili consumati a ripetizione o gli inseguimenti adrenalinici, peraltro spettacolari. Il primo Rambo, infatti, propone da un lato una lettura lucida e visiva sull’interiorità del proprio protagonista, afflitto da un evidente disturbo post-traumatico dovuto alla crudeltà di una guerra appena combattuta. Dall’altro, il film suggerisce una riflessione scoraggiante ma realistica riguardo alla crisi d’identità del sogno americano, un sistema sempre più a pezzi che plasma i propri eroi, li eleva e li alleva all’ombra del patriottismo per poi sbarazzarsene una volta consumati e non più necessari.
In superficie, c’è naturalmente una spettacolarizzazione degli eventi davvero coinvolgente, un cinema d’azione solido e d’impatto, all’interno del quale si ritrovano alcune delle sequenze più iconiche di questo genere. Un genere non ancora annacquato dagli eccessi e dagli entusiasmi iperbolici della cultura pop, all’interno della quale lo stesso Stallone, così come il “rivale” di una vita Schwarzenegger, si ritroveranno a sguazzare con enorme successo.