La locandina, il consiglio cinematografico di oggi: Terminator 2 - Il giorno del giudizio, di James Cameron - Blitz Quotidiano
Realtà e cinema sono due universi che dialogano costantemente, interconnessi all’esperienza umana che vive e sussiste nel primo per elevarsi creativamente nel secondo. Se è l’arte che imita la vita o viceversa, questa è materia filosofica per palati fini. Ci limitiamo a sostenerne la stretta correlazione, indiscutibile e squisitamente romantica, talvolta anche inquietante. Di recente, alcuni ricercatori dell’Università della California Santa Barbara hanno progettato microrobot programmabili in grado di cambiare forma, di comportarsi come un fluido o di unirsi per creare nuove strutture solide. Si tratta di una progettazione particolare, apripista di un nuovo approccio alla robotica che non può che ricollegarsi alle suggestioni della fantascienza. Il prossimo passo? Miniaturizzare ulteriormente questi piccoli robot, aumentandone il numero di unità.
Passando dalla teoria ai fatti, studiando la morfogenesi embrionale, il team di ricercatori deve aver trovato stimoli e chissà forse anche ispirazione nella cultura pop, nello specifico quella sci-fi all’interno della quale è nato, cresciuto, si è disintegrato e poi si è ricostruito l’iconico T-1000 di Terminator 2 – Il giorno del giudizio, cult assoluto di James Cameron uscito nel 1991. Per l’occasione, infatti, oggi vi consigliamo uno dei migliori sequel della storia del cinema, un film iconico capace di rivoluzionare per sempre i film d’azione, elevando uno standard che avrebbe fatto scuola.
Dieci anni dopo gli eventi del primo film, ritroviamo Sarah Connor (Linda Hamilton), ricoverata in un manicomio criminale mentre tenta di convincere inutilmente i medici dell’esistenza di un Terminator, quello che l’ha attaccata e dal quale è riuscita a sfuggire per miracolo. Suo figlio, John (Edward Furlong), è un ragazzo irrequieto, sregolato, momentaneamente affidato a una famiglia residente a Los Angeles. Ancora una volta, dal futuro arriva qualcuno, o qualcosa, ovvero due differenti Terminator. Il primo, un modello T-1000 (Robert Patrick), è stato inviato nel passato per uccidere John Connor, evitando in questo modo che diventi il capo della resistenza contro i cyborg, quelli che tenteranno di prendere il controllo della Terra. Il secondo, un meno evoluto T-800 (Arnold Schwarzenegger), è stato mandato dalla resistenza per prendersi cura di John e di sua madre Sarah.
L’obiettivo principale di quest’ultima, una volta evasa dall’ospedale, è quello di sabotare definitivamente la realizzazione dell’intelligenza artificiale Skynet. Per farlo, con l’aiuto di suo figlio John e del T-800, schivando costantemente il pericolo rappresentato dalla presenza del T-1000, la donna dovrà rintracciare l’uomo che costruirà i cyborg, il quale resterà sbalordito nell’ascoltare la storia delle sue invenzioni, quella in cui in un futuro prossimo l’umanità si ritroverà sottomessa al potere delle macchine.
Solitamente quando ci si approccia a un sequel lo si fa con giustificato pregiudizio, anche quando ci si alimenta di speranze e aspettative. Questo avviene soprattutto con quelle opere originali il cui fascino e unicità, e un po’ di affetto da parte del pubblico, rendono superflua e mal percepita qualsiasi tipo di aggiunta, un capitolo in più non necessario. Ci sono però casi in cui questa regola non scritta risponde a delle logiche totalmente differenti, solo in parte commerciali, nate perlopiù dalla piena consapevolezza degli autori di voler aggiungere qualcosa di prezioso e di inedito, allargando l’universo del primo film.
In questo senso, Terminator 2 è senza dubbio l’esempio perfetto, uno dei sequel più belli della storia del cinema, capace di aprire perfino un dibattito particolare e per certi versi anomalo che da sempre si interroga su quale sia il Terminator definitivo e più interessante, tra l’originale del 1984 e il capitolo successivo del 1991, entrambi firmati da James Cameron.
Se il primo capitolo vive di un gusto fantascientifico cupo e legato ad alcune logiche cyberpunk, impreziosite dalla straordinaria ingegnosità tecnica di un Cameron sulla rampa di lancio, il sequel è immerso al contrario in un’atmosfera molto più dinamica e colorata, all’interno della quale esplodono con efficacia tutti gli elementi peculiari del cinema d’azione. Un tipo di cinema che Terminator 2 avrebbe per sempre rivoluzionato, capace anche di farsi invidiare dalla maggior parte dei film d’azione odierni.
Se nel primo capitolo si respira la centralità nella messinscena del T-800, modellato attorno alla mastodontica figura di Arnold Schwarzenegger, nel secondo il T-1000, interpretato da Robert Patrick, risulta essere uno dei tanti punti di forza del film, oltre alla rilevanza storica. Si tratta, infatti, del primo personaggio della storia del cinema parzialmente generato al computer. Complice anche un budget molto più alto rispetto al primo film, si parla di circa 100 milioni di dollari, Cameron ha potuto fare affidamento su una vasta gamma di effetti speciali, combinando trucchi artigianali, modellini e animatronics vari con l’utilizzo sapiente di una computer grafica all’avanguardia.
Terminator 2 si esalta, e allo stesso modo entusiasma il pubblico, proponendo un ritmo forsennato, spinto al massimo dal continuo pedinamento del T-1000 e rifinito da un’ironia sforna citazioni quasi totalmente assente nel primo. Rispetto al primo capitolo, si capovolgono anche alcuni aspetti narrativi caratteristici di questo tipo cinema. Se nel 1984 si assiste al continuo inseguimento che vede coinvolte determinate figure, ovvero chi salva (l’umano John Connor), chi deve essere salvata (l’innocente Sarah) e chi insegue (l’inarrestabile T-800), in Terminator 2 lo scontro principale avviene tra due cyborg, mentre l’innocente ragazza si è fatta donna, una moderna Ellen Ripley che cerca di proteggere suo figlio e allo stesso tempo si pone l’obiettivo di far saltare l’intero sistema, ovvero Skynet.
Terminator 2, come sequel, funziona alla perfezione, rendendo autoconclusive forme e implicazioni narrative proposte. Così doveva essere, e invece si è assistito al proseguimento di una saga che nulla ha saputo aggiungere e che in determinati momenti ha fatto di tutto per autosabotarsi, come un macchina che sceglie consapevolmente di immergersi nell’acciaio fuso.