Se visitate i giornali online e cliccate sulla sezione dedicata alla scienza, vi sarete senza dubbio accorti di una certa attenzione mediatica su Marte e sulla sua esplorazione. Tra speculazioni, notizie confermate e altre meno, foto sensazionalistiche, teorie e progetti in corso, il pianeta rosso continua ad affascinare l’opinione pubblica.
Qualcosa di nuovo? No. Marte, per esempio, riempie da sempre le trame di numerosi film di fantascienza: da Atto di forza, di Paul Verhoeven, a Fantasmi da Marte, di John Carpenter, passando per l’ironia satirica di Mars Attacks, di Tim Burton. Eppure, tra le ultime produzioni di questo tipo, ce n’è una che ha saputo conquistarsi un posto d’onore nella fantascienza moderna, un film “analitico” che esplora tanto la desolazione di Marte quanto gli interessanti aspetti dell’uomo al centro della sua odissea. Oggi, infatti, vi consigliamo The Martian, di Ridley Scott.
Mark Watney è uno dei primi astronauti a camminare sul suolo di Marte. La sua esplorazione, dopo sei giorni, inizia a prendere una piega nefasta, inducendolo a credere di non poter sopravvivere. L’astronauta rimane completamente solo, dopo che il suo equipaggio, credendolo morto, ha evacuato la base spaziale a causa di una tempesta di sabbia. Nell’incapacità di poter lanciare un segnale di soccorso, Watney pare non avere alcuna possibilità.
Sfruttando però le proprie conoscenze e le abilità nell’ingegneria botanica, l’astronauta riesce a rimandare la propria fine procurandosi il sostentamento minimo. Intanto la NASA monitora la situazione sul pianeta rosso e forse per Watney esiste una minima speranza di poter far ritorno a casa.
Tra la fantascienza e la genesi più marcatamente scientifica del termine, al di là del concetto di fantasia, c’è la costruzione narrativa che sta alla base del film di Scott. Giocando sulla dilatazione dei tempi, il regista pare aver seguito un modus operandi piuttosto singolare, almeno nel mondo della fantascienza moderna: seguire con meticolosità le deriva scientifica della propria narrazione, ponendo l’accento sull’uomo al centro della sua desolante (dis)avventura.
Quello a cui si assiste, infatti, non è uno spettacolo bellico tra alieni e uomini sulle pendici di Marte, né tantomeno una rappresentazione in stile Star Wars. The Martian, al contrario, sintonizza le proprie frequenze sulla psicologia del suo protagonista, sulla sua durissima lotta per la sopravvivenza e, con un plot twist abbastanza inedito nella metodologia narrativa, sulla fallibilità dell’essere umano.
Trattando con cura una materia per la quale Scott viene riconosciuto come un maestro assoluto (da Alien a Blade Runner), il regista britannico focalizza l’attenzione sul concetto di fallimento, al quale l’uomo, e in questo caso anche la superpotenza USA, non può sottrarsi perfino quando si trova lontano dalla Terra. Umanizzazione, potremmo dire, e questo genere di film ne aveva fin troppo bisogno. La retorica patriottica, pretesto per la morale spicciola, viene azzerata e confinata nell’inverosimiglianza, a favore invece di una realtà, attraverso la quale solo chi sbaglia progredisce, mai così spaventosa, ostile e cinematograficamente convincente.