
La locandina, il consiglio cinematografico di oggi: Trappola di cristallo, di John McTiernan - Blitz Quotidiano
Da diversi anni, l’attore Bruce Willis convive con una forma piuttosto grave di afasia, che lo ha costretto a ritirarsi dalle scene nel 2022. L’anno successivo, le sue condizioni di salute sono ulteriormente peggiorate, dopo che i medici gli hanno diagnosticato una demenza frontotemporale, una patologia neurodegenerativa che colpisce 50mila persone solo in Italia. Chi ne soffre vede peggiorare nel tempo le proprie capacità cognitive, il linguaggio e il comportamento, rendendo estremamente difficile la vita quotidiana.
Di recente, una nuova ricerca, condotta presso la Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma, sembra offrire speranza per i pazienti che soffrono di demenza frontotemporale. Lo studio, infatti, ha dimostrato che un trattamento a base di un composto capace di agire sul sistema endocannabinoide e sulla neuroinfiammazione potrebbe rallentare la progressione della malattia. Questo studio, pubblicato sulla rivista Brain Communications e guidato da Giacomo Koch, vicedirettore scientifico della Fondazione Santa Lucia, ha analizzato gli effetti della molecola co-ultraPEAlut su 50 pazienti. Il trattamento, assunto per sei mesi, ha mostrato risultati piuttosto promettenti: i pazienti che hanno ricevuto la terapia hanno visto rallentare la progressione della malattia, migliorando le capacità di linguaggio rispetto a chi ha ricevuto solo un placebo.
Bruce Willis, la cui notizia della malattia ha sconvolto l’intero settore cinematografico, è uno degli attori più iconici e rappresentativi del cinema d’azione e non solo, star indiscussa e popolarissima soprattutto negli anni Novanta. Oggi, omaggiando una carriera stracolma di successi, vi consigliamo uno dei suoi film più significativi, senza dubbio quello che lo ha reso noto al grande pubblico, ovvero Trappola di cristallo, di John McTiernan.
Trappola di cristallo, di John McTiernan
John McClane (Bruce Willis), un poliziotto di New York, vola a Los Angeles alla Vigilia di Natale per trascorrere le vacanze con la sua famiglia. Arrivato al Nakatomi Plaza, grattacielo di ultima generazione dove lavora la moglie Holly (Bonnie Bedelia), McClane viene invitato a unirsi ai festeggiamenti natalizi dei dipendenti di una compagnia. Nel corso della festa, però, il poliziotto si ritrova coinvolto in un attacco terroristico da parte di un gruppo di criminali tedeschi che rispondono agli ordini del loro capo, Hans Gruber (Alan Rickman).
L’obiettivo principale di Gruber è quello di penetrare nel caveau dell’edificio per rubare titoli di stato dal valore di milioni di dollari. Tutti si ritrovano in ostaggio, a eccezione di McClane, che è riuscito a rifugiarsi nei piani non ancora ultimati del grattacielo. Il poliziotto sarà così l’unico a potersi permettere di contrastare i piani di Gruber, tendando disperatamente di salvare gli ostaggi e sua moglie Holly.
Novità di genere
Dalla giungla all’asfalto. John McTiernan, dopo aver diretto il primo capitolo di Predator, l’anno successivo realizza uno dei film d’azione tra i più iconici di sempre, quel Die Hard (in Italia Trappola di cristallo) che ha ridefinito il genere decostruendolo e ampliandolo con nuove sfumature e stilemi da blockbuster hollywoodiano che saranno di grande ispirazione per il cinema americano negli anni Novanta (vedi Speed) e non solo. Da qui nasce anche una saga che sarà iconica allo stesso modo, zoppicante in più punti, certo, ma impreziosita da un terzo capitolo, diretto ancora da McTiernan, estremamente valido.
Tra le novità messe in scena nel primo Die Hard c’è il superamento di una determinata concezione di eroismo, quella dell’infallibile action hero che negli anni Ottanta aveva il volto, e il corpo ultra-palestrato, di attori come Arnold Schwarzenegger e Sylvester Stallone. Il John McClane di Die Hard, al contrario, è un uomo qualunque che si ritroverà suo malgrado a risolvere l’intera situazione, come una sorta di eroe sbilenco, ovviamente risolutivo perché Hollywood impone al protagonista di farcela sempre, per il quale è difficile non riuscire a empatizzare o a provare simpatia, data inoltre la natura fortemente ironica e allo stesso tempo seriosa del film. Tutto questo funziona alla grande grazie al volto di Bruce Willis, ancora poco conosciuto all’epoca, ma che da quel momento si ritroverà a vestire i panni del sex symbol e del divo hollywoodiano che conosciamo oggi.
C’è poi il villain di turno, e su questo, è innegabile, Die Hard ha colpito nel segno. Hans Gruber, lontano anni luce dalle caratteristiche di un cattivo squilibrato o di un genio del male incompreso, si presenta in abiti firmati, elegantissimo, spietatamente razionale. Non cerca mai di ingaggiare un duello all’ultimo sangue con l’eroe, ma al contrario si affida ai propri mezzi, alla sicurezza imperturbabile che lo contraddistingue e a una lenta e pacatissima calma attraverso la quale ogni minimo dettaglio viene calcolato alla perfezione. Alan Rickman, nel restituire tutto questo, è semplicemente perfetto.
Infine, distinguendosi maggiormente da tutto il resto del cinema d’azione di quegli anni, Die Hard mette sul piatto ingredienti e sfumature differenti ed efficaci: l’azione sopra ogni cosa, ma anche un filo di dramma, caratterizzazioni per nulla scontate e un umorismo che ha fatto scuola, elevando il film a cult assoluto del genere. Chiudiamo invece un’occhio e sorvoliamo sulla noiosa tendenza del cinema americano di quegli anni, periodo reaganiano, di buttare nella mischia villain e cattivi sempre stranieri, nel caso di Die Hard tedeschi. Perché si sa, l’eroe americano e gli Stati Uniti vincono sempre, che siano in cima a un grattacielo o su un ring dall’altra parte del mondo.