La matematica, questa sconosciuta. Da sempre considerata dagli studenti come una tra le più ostiche, per questa materia sembra valere un certo tipo di discorso: o ci si è naturalmente portati, oppure si deve faticare un po’ di più per comprenderla.
I dati più recenti riguardo questo argomento testimoniano una certa situazione in Italia, dove si registra un livello di conoscenza della matematica piuttosto in linea con la media internazionale e poco al di sotto di quella UE. La situazione, però, cambia radicalmente quando si confronta il livello di questa materia negli studenti del Nord e in quelli del Sud, evidenziando un divario significativo che vede quelli del Nord raggiungere punteggi molto più alti rispetto a quelli del Sud. Purtroppo, questo trend non è più una sorpresa ma una dolorosa riconferma negli anni.
Numeri, dati e statistiche, però, potrebbero non valere per tutte quelle persone che in determinati ambiti riescono a vedere qualcosa che altri semplicemente non vedono. Si tratta di quelle menti geniali, affascinanti e misteriose allo stesso modo, che superano determinati concetti spingendosi a un livello di comprensione quasi per tutti irraggiungibile.
Nella storia del cinema e della letteratura troviamo numerosi esempi, di frequente biografici, che raccontano la vita delle menti più brillanti, spesso evidenziandone tanto la genialità quanto, per esempio, la solitudine, l’incomprensione, un certo stato di inadeguatezza e le rinunce a una vita “normale”. Su questo tema, legato indissolubilmente alla matematica e al genio ma anche ad altri aspetti molto più interessanti, oggi vi consigliamo Will Hunting – Genio ribelle, di Gus Van Sant.
Will Hunting (Matt Damon) vive con il suo migliore amico Chuckie Sullivan (Ben Afflek) una vita completamente scapestrata, incosciente e spesso senza regole ben precise. Ma Will ha qualcosa che nessun altro ha, un dono particolare che lo rende un genio della matematica. Il primo ad accorgersene è il suo professore Gerald Lambeau (Stellan Skarsgård). Will un giorno viene arrestato e Lambeau decide di aiutarlo ponendogli una condizione: anziché la galera, il ragazzo dovrà frequentare le sedute dello psicologo Sean Maguire (Robin Williams).
Il rapporto tra Will e lo psicologo si fa sempre più profondo, seduta dopo seduta, attraverso le quali emerge il passato difficile del ragazzo. In molti intorno a Will sembrano essere in qualche modo gelosi del suo genio. Questa condizione, però, lo porta anche ad avere difficoltà relazionali, ad esempio con Skylar (Minnie Driver), una ragazza che sembra amare profondamente.
Il film di Gus Van Sant, pur non essendo un capolavoro, negli anni si è guadagnato lo status di cult assoluto, vincendo anche due premi Oscar (miglior attore non protagonista a Robin Williams e miglior sceneggiatura originale a Matt Damon e Ben Affleck).
Ma statuette e premi contano poco, almeno nell’essenza più pura di un’opera, quando un film riesce oggettivamente a raccontare qualcosa in maniera brillante. Quella di Will Hunting è una storia solo apparentemente semplice, ma che nasconde i tratti di un dramma, intenso ed emozionante, che porta alla luce l’importanza di seguire sempre il proprio pensiero, essere sé stessi insomma. Farlo comporta essenzialmente due cose: esporsi, talvolta affrontando gli sguardi sentenziosi della gente, e mostrare la propria fragilità. Tutto questo porta a delle conseguenze, ma solo sfidandole si può arrivare alla consapevolezza di una vita che si è davvero vissuta.
Quello che Will fa, con l’aiuto quasi paterno e prezioso di Sean, è demolire la propria imperscrutabile immagine, tanto artificialmente audace quanto arrogante. Tra le macerie di quella falsa apparenza, parola dopo parola, ricordo dopo ricordo, Will giunge a uno stato di coscienza che gli permette, per la prima volta in tutta la sua vita, di mostrare il ragazzo che si cela sotto il genio, sé stesso prima della pseudo-costruzione che aveva creato per proteggersi.
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