Ilaria D’Amico: “Mamma stava per abortire, poi…”

Ilaria D'Amico: "Mamma stava per abortire, poi..."
Ilaria D’Amico: “Mamma stava per abortire, poi…”

ROMA – Ilaria d’Amico è pronta per il ritorno in tv dopo la pausa dovuta alla gravidanza e alla nascita del piccolo Leopoldo Mattia, avuto da Gigi Buffon. Prima di rituffarsi nell’avventura con Sky Calcio, però, Ilaria D’Amico concede una lunga intervista a Vanity Fair. Un’intervista a tutto tondo in cui racconta di tutto: dalla sua nascita che non doveva esserci (la mamma voleva abortire), agli episodi di cui va meno fiera (il sonnifero dato ai genitori per poter fuggire in discoteca).

«Mi piaceva stare in mezzo alla gente, alle feste in discoteca, e discoteca per mia madre significava una cosa sola: droga, aghi, cocaina, dissoluzione. La cocaina c’era, ma con me avrebbe potuto star tranquilla».
Perché?
«Sa come mi soprannominavano le amiche? Digos. Ero la rompipalle che finiva per controllare gli altri. Non so se sia stata paura che qualcuno potesse approfittarsene o timore di non essere più padrona di me stessa. Ma alle feste mi fermavo al secondo bicchiere di vino e non ho mai avuto voglia di andare oltre. Poi magari ballavo fino alle 6 del mattino, ma lucida. Senza veleni. Al massimo a dare la pozione sono stata io».
Scusi?
«Mia madre non voleva farmi andare in discoteca e così mi feci consigliare da un amico che studiava Farmacia il sonnifero giusto da mettere nel vino, una sera, per addormentare lei e il suo compagno. Dormirono fino a quando, sospettando di aver sbagliato il dosaggio e di averla combinata più grossa del previsto, non li svegliai io tornando a casa».

Poi il racconto sull’aborto:

Ma lei non ha fatto altro che scappare?
«Non sempre andava bene. Una sera, al mare, dico a mia madre: “Dormo al piano di sopra”. Salgo, mi vesto di soppiatto, mi calo dalla finestra e mi preparo a scavalcare il cancello del giardino. Lei era dall’altra parte dell’inferriata».
Come definirebbe il vostro rapporto?
«Totale, pur nel rispetto delle nostre indipendenze. Fin da quando sono nata, nel 1973. Mia madre conduceva già da tempo un’aspra battaglia per separarsi dal marito e portare la prima figlia con sé. A quell’epoca la patria potestà era la regola e mio padre non lo avrebbe mai permesso. Dormivano separati quando all’improvviso morì mio nonno materno. Una notte, mentre lei elaborava il lutto, ci fu un momento di tenerezza».
Quel momento era lei.
«Si figuri la sua felicità per quella figlia arrivata per caso. Prigioniera di un matrimonio che non aveva mai trovato pace, col dubbio di poter perdere ogni libertà residua, si disse: “Non posso”. Tenne nascosta la gravidanza e decise di abortire. Contattò un medico che operava in clandestinità, si confidò con un’unica amica, tacque con la madre e con le sorelle, prese l’appuntamento con il dottore e fissò il giorno».
Poi che cosa accadde?
«Mia madre era cattolica, ma in chiesa non andava. Aveva fatto il ’68, ma era già inserita nel ciclo figli-lavoro-produzione. Non sentiva un conflitto morale. Per lei l’aborto era una scelta individuale che spettava alla donna. Però, certo, era un passo traumatico. Una cosa da cui non si tornava indietro. Una notte sognò suo padre e a quel sogno, qualche giorno dopo, seguì una telefonata. Era la segretaria del medico che si scusava. Il dottore si era dovuto trattenere a Firenze e avrebbe potuto operarla solo nel pomeriggio. “Non vengo più, grazie”, disse. Poi riagganciò. Era il segno che aspettava».
Se avesse scelto diversamente?
«Semplice. Non sarei qui». (…)

E non manca, ovviamente, il riferimento alla nascita della relazione con Buffon:

“Qualcuno pensava che la storia d’amore con Buffon fosse improbabile? Me lo sono detta anch’io: “È impossibile”. Subivo lo stereotipo del calciatore. Un po’ per preconcetto, un po’ perché a volte i calciatori ci mettono del loro. Gigi per me era una commistione indefinita tra il campione di cui conoscevo le gesta e l’immaturo, se non il fascista che una volta, a Parma, aveva indossato una maglietta con la scritta “Boia chi molla”. Con certi eroi nazionalpopolari capita sempre così. La caz*ata che fai da ragazzo nel tempo assume una dimensione che, soprattutto se sei riservato e non ti racconti, tende a farti rimanere sempre uguale nel corso degli anni”.

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