LONDRA – Meghan Markle con la tiara, il principe Harry in divisa ma con la barba. Così si sono detti sì gli sposi al castello di Windsor [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] al Royal Wedding. Clicca qui per vedere la diretta. L’utilizzo della uniforme sembrava in contrasto con la barba (almeno stando al protocollo ufficiale), ma Harry ha voluto mantenere il proprio look.
Meghan ha lasciato l’hotel dove ha trascorso la notte a bordo di una Rolls Royce d’epoca, con al fianco sua madre Doria Regland, per raggiungere il castello di Windsor in vista delle nozze con il principe Harry.
L’abito da posa di Meghan Markle è stato disegnato dalla stilista britannica Clare Waight Keller che l’anno scorso ha assunto il ruolo di direttore creativo di Givenchy dopo essere stata per anni da Chloè. Una scelta a sorpresa, la Keller non era mai stata citata tra i possibili designer, ma molto british. L’abito è semplice, con scollo a barchetta e un lunghissimo velo decorato portato da dieci paggetti tra i quali spiccava, in uniforme nera, il principino George.
Il principe Harry, secondogenito di Carlo e Diana, è arrivato nella cappella di St. George, al castello di Windsor, insieme al fratello William che è stato anche suo testimone di nozze.
In alta uniforme militare dei Blues and Royals, reggimento di cavalleria dell’esercito britannico di cui la regina è colonnello comandante, sia lo sposo Harry che il testimone William sono stati accolti nella cappella di St. George da un’ovazione dei 600 ospiti. Sorridente e rilassati hanno chiacchierato per tutto il tragitto che li ha condotti in chiesa.
A presiedere il rito religioso è stato l’arcivescovo anglicano di Canterbury, Justin Welby, affiancato dal presule afroamericano Michael Curry, titolare della diocesi di Chicago della Chiesa episcopale, emanazione Usa dell’anglicanesimo, invitato per scelta degli sposi a tenere un sermone.
Da oggi Harry e Meghan Markle sono marito e moglie: si sono detti sì nella più tradizionale delle cornici britanniche, il castello di Windsor, e tuttavia al culmine di una cerimonia pilotata oltre le convenzioni. In un’atmosfera meno imbalsamata del consueto, a tratti addirittura rilassata fino alla risata collettiva in chiesa, e con un tocco di vitalità afroamericana a intaccare qua e là gli schemi.
L’evento – seguito in tv da centinaia di milioni di spettatori in giro per il mondo – è rimasto come sospeso fra una celebrazione in versione moderna di quella che Simon Schama ha definito sul Financial Times “la costruzione della mistica reale” e un happening popolare fra celebrities da rotocalco e gente comune.
Il figlio cadetto del principe Carlo, che tanto assomiglia a Diana, ha sposato l’attrice californiana di madre nera e padre bianco e ne ha fatto una principessa. Abbracciando però anche un pezzo del mondo di lei. I due – 33 e 36 anni – sono da questo momento il duca e la duchessa di Sussex, secondo il titolo conferito loro dalla regina Elisabetta, presente al timone del Regno anche questa volta, a 92 anni compiuti, vestita di verde-giallo e con al fianco il 96enne Filippo. E’ stato un matrimonio anglo-americano, apparso ai più spontaneo, e colto come un’occasione per avvicinarsi almeno un po’ al mondo di oggi e ad un Regno Unito ormai multietnico.
Non sono mancate le contaminazioni. Non tanto per la presenza – appartata e dignitosissima – della madre della sposa Doria Ragland, istruttrice di yoga d’origine caraibica e unica superstite di famiglia dopo l’imbarazzante forfait per presunti motivi di salute di papà Thomas, sostituito in veste di accompagnatore all’altare (per metà corridoio) dal principe Carlo. Quanto per le scelte fatte sul rito religioso fra le severe navate della cappella di St. George, sui ricevimenti, sugli invitati. E per lo stile che la stessa coppia ha voluto testimoniare: punteggiato di sorrisi, di sguardi incrociati, di scambi informali di battute (“Sei meravigliosa, sono così fortunati”, ha detto lui a lei prima dello scambio degli anelli, come un qualunque sposo a una qualunque sposa), sino al classico bacio sulla scalinata.
Mentre a gettare il vero sasso nello stagno è stato forse il vescovo episcopale (e anti-Trump) di Chicago, Michael Curry: invitato da Meghan assieme a un inedito coro gospel e capace di rubare la scena, non senza qualche rossore fra i contegnosi Windsor, in un sermone infiammato alla maniera delle chiese nere Usa sulla forza “rivoluzionaria” dell’amore umano e cristiano, spaziando da Martin Luther King al gesuita francese Pierre Teilhard de Chardin. E con un invito finale, chissà se gradito alla monarchia, a “fare nuovo questo mondo vecchio”.