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Gli sceneggiatori di Hollywood minacciano: “Pagateci o spoileriamo tutti i finali di stagione”

Gli sceneggiatori di Hollywood minacciano: “Pagateci o spoileriamo tutti i finali di stagione”.

Le proteste degli sceneggiatori di Hollywood

Claire Kiechel ha 35 anni e ha scritto The OA per Netflix e The Watchmen per HBO. “Sul primo ho lavorato 5 anni e ho ricevuto 2.000 dollari di diritti d’autore. Sul secondo tre anni, mi sono spettati 450 dollari per lo streaming, oltre alla paga minima. Non puoi viverci”, allarga le braccia.

Alle sue spalle c’è la collina con la scritta Hollywood e davanti a lei il palazzo che Netflix si è costruito come quartier generale sul Sunset Boulevard. “Sono venuta qui da New York per queste due insegne. Mai avrei pensato che sarebbe stata così dura”.

Attorno a lei, decine di colleghi fanno avanti e indietro tra l’ingresso principale e l’accesso posteriore ai teatri di posa. Ognuno porta un cartello: “Pagateci o spoileriamo il finale di Succession” “Un computer non sa fare arte” “No accordo=no Shrek 5”.

Il contratto scaduto

Gli sceneggiatori della Writers Guild of America (WGA) sono in sciopero da martedì, quando il contratto triennale della categoria è scaduto senza un accordo per il rinnovo con la controparte, gli studi di produzione dell’Alliance of Motion Picture and Television Producers (AMPTP).

I presidi di protesta coprono tutta la città. Sono sotto Netflix e al cancello della Paramount nel cuore di Hollywood; davanti agli studi di Amazon, Fox e Sony più a sud e a nord, dove hanno capannoni e uffici Disney, Warner Bros e Universal Pictures. E sui social network, con gli hashtag WGAStrong e Dothewritething, che sfrutta l’assonanza tra la parola “write” (scrivere) e “right” (giusto) parafrasando il titolo del film di Spike Lee, Fa’ la cosa giusta.

“Tutto quello che guardiamo comincia con una pagina bianca e con qualcuno che ci scrive sopra. Se ci fermiamo noi, l’intero sistema si inceppa”, spiega all’agenzia Ansa Travis Donnelly, membro del comitato che ha contrattato con i produttori.

La WGA è un ibrido tra sindacato e ordine professionale. Le case di produzione e di streaming americane possono assumere solo gli iscritti a questo albo. Tutti i membri, circa 11.000, dal 2 maggio hanno l’obbligo di rispettare lo sciopero, autorizzato dal 98% di loro con un voto online. Se la serrata sarà lunga, come sembra plausibile (l’ultima volta, tra 2007 e 2008 era durata 100 giorni), presto non ci sarà più niente da girare e, quindi, niente da guardare. Quindici anni fa, lo sciopero coinvolse 800.000 lavoratori dello spettacolo, fece perdere 37.700 posti di lavoro e 2 miliardi di dollari, secondo il Milken Institute.

“Allora lo streaming era una tecnologia quasi avveniristica. Per questo rimase fuori dalla contrattazione. Oggi sappiamo che gli Studios ci hanno fatto i miliardi, mentre noi non arriviamo a fine mese”, spiega davanti ai teatri di posa della CBS, Betsy Thomas, in prima linea nelle barricate del 2007.

Secondo un sondaggio interno della WGA, la metà degli scrittori ormai percepisce la paga minima sindacale. “Ormai molti di noi hanno un lavoro supplementare”, racconta Adam Conover, celebre comedian, che fa un esempio: “Nel 2015, ho creato uno show per una tv via cavo. Hanno garantito una buona paga settimanale e un contratto di tre mesi a tutta la squadra di autori. Cinque anni dopo, ho venduto lo stesso format a Netflix: non avevamo un minimo e venivamo assunti a giornata”.

“Lavoro da 10 anni e non ho messo da parte un soldo, pago a mala pena l’affitto”, dice Emily Zampaglione, 44 anni, di New York. “Siamo diventati lavoratori della gig economy – commenta Michael Cobian, 42 anni, sceneggiatore da 15 – Paga misera, pochi diritti, mentre costruiamo le fortune dei pezzi grossi lassù”. Il suo sguardo si alza verso l’edificio di cemento e specchi su cui campeggia la scritta rossa Netflix.

Gianluca Pace

Laureato in Storia contemporanea, a Blitz quotidiano dal 2011. Qui mi occupo, si fa per dire, di quel che accade in questa misera Italia e nei dintorni. Con queste poche righe dovrei mettere in risalto, con un po’ di ironia e senza farlo notare troppo, le mie poche qualità. Ma insomma, alla fine che ci frega?

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