Inizia l’ufficialmente il mandato del consiglio di amministrazione Rai, espressione della maggioranza che da due anni guida il paese, e di Giampaolo Rossi, l’uomo di fiducia della premier Giorgia Meloni nel campo dei media, alla guida della tv pubblica. La sua sua nomina a amministratore delegato in cda è arrivata insieme a quella di Simona Agnes come presidente.
La nomina di Agnes, tuttavia, per essere efficace dovrà passare il vaglio della Commissione di Vigilanza dove è necessario il quorum dei due terzi dei voti, che al momento non sarebbe raggiunto. Nonostante questa incertezza, Rossi ha ora i poteri per realizzare il proprio progetto, che consiste non solo in una battaglia politica contro l’egemonia della sinistra, ma anche nell’azione per il consolidamento dei conti aziendali, messi a rischio dai tagli al canone voluti dalla Lega, e per la modernizzazione dell’azienda in linea con il piano industriale.
Poi a breve ci sarà anche il capitolo dei palinsesti e delle prime nomine alle testate. Al suo fianco, come comunicato oggi in consiglio, ci sarà l’ex Ad Roberto Sergio, che ricoprirà l’incarico di direttore generale corporate dopo le voci, mai confermate, di dissidi tra i due nella passata gestione. Il via libera a Rossi e Agnes da parte del consiglio, nominato dall’assemblea degli azionisti come previsto dalla legge, è arrivato a maggioranza.
Si sono espressi a favore il consigliere indicato dalla Lega, Antonio Marano, che svolge pro tempore le funzioni di presidente in quanto membro più anziano, e la consigliera indicata da Fratelli d’Italia, Federica Frangi. Via libera anche dal componente eletto dai dipendenti Davide Di Pietro, che ha spiegato di aver apprezzato le aperture del nuovo vertice sul fronte del rinnovo del contratto dei lavoratori e della valorizzazione delle risorse interne.
Il no è arrivato dai membri indicati da M5s, Alessandro Di Majo, e da Avs, Roberto Natale. Due voti contro che – come precisato da entrambi – non sono una bocciatura delle persone, ma del meccanismo di legge che risponde a logiche partitiche e determina la sudditanza della Rai al governo. È pronosticabile che lo stesso no si ripeta in occasione del voto in Commissione di Vigilanza su Agnes da parte di tutta l’opposizione, anche se la sua compattezza pare ogni giorno sempre più in discussione.
Non sono certo passate inosservate, anche tra i membri della bicamerale, le nette parole del leader M5s, Giuseppe Conte, sul campo largo che “non esiste più”. Resta in piedi, comunque, il patto sull’uscita dall’aula al momento del voto, per tagliare le gambe ai possibili franchi tiratori, ma ormai le forze di minoranza si guardano con sospetto anche in questa partita e non celano il timore che qualcuno possa offrire una stampella agli avversari in cambio di poltrone.
Sotto osservazione ci sono i tempi per la convocazione della Vigilanza. La maggioranza non ha certo interesse ad accelerare, nella speranza, in particolare di Forza Italia, che il tempo convinca pezzi dell’opposizione ad appoggiare Agnes, o che, come auspicherebbero pure a Palazzo Chigi, si possa formare il consenso su un nome di garanzia gradito anche al Pd. I dem si sono chiamati fuori dal voto in Parlamento, per protestare contro l’occupazione della Rai da parte del governo, e non intendono certo portare alla lunghe la partita.
Nelle ultime occasioni, con la doppia votazione su Marcello Foa e quella su Marinella Soldi, l’intervallo tra la nomina in cda e il passaggio in Vigilanza è stato di pochi giorni. Ora si attende di capire quale sarà l’orientamento dell’ufficio di presidenza, che sarà convocato dalla presidente Barbara Floridia, ma più esponenti della minoranza non nascondono il timore che si vada alla metà di ottobre o oltre.
Anche sulla riforma della governance, che è stata incardinata in Commissione al Senato, sotto osservazione ci sono i tempi. La leader del Pd Elly Schlein ha già detto apertamente di non fidarsi della maggioranza su questo fronte. Oggi il relatore Roberto Rosso, esponente di FI, ha citato l’obiettivo dell’estate per l’approvazione, quando entrerà in vigore il Media Freedom Act che chiede di cambiare la legge, almeno in relazione alla dipendenza della governance dal governo.
Prima che si entri nel vivo del dibattito, ci sarà probabilmente un ciclo di audizioni a Palazzo Madama, in parallelo con gli Stati Generali valuti dalla Vigilanza per affrontare le tematiche legate al mondo dei media e dell’informazione in generale.
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