CAIVANO, NAPOLI – Fortuna Loffredo e il palazzo a Parco Verde di Caivano: a scavare nella storia della piccola morta lo scorso 24 giugno per un apparente caduta dall’ottavo piano che non ha testimoni, si scoprono solo strati di brutalità e disperazione. Nell’ordine:
Fortuna Loffredo, secondo l’autopsia, ha subito “abusi sessuali cronici”
Il 28 aprile 2013 è morto, in circostanze analoghe, il piccolo Antonio Giglio.
I racconti delle compagne di giochi di Fortuna sono “raccapriccianti”
Quelli degli adulti sono “confusi e omertosi”.
Nel palazzo gran parte degli uomini è agli arresti domiciliari o fresco di carcere.
Le mamme si prostituiscono per 5-10 con vecchi della zona.
I loro mariti o conviventi lo sanno e le sfruttano.
Le nonne spacciano cocaina.
Nel quartiere ci sono 13 “piazze di spaccio”.
Un ragazzino può farsi 50 euro al giorno solo per fare da “sentinella” alla “piazza di spaccio”.
Scrive sulla Stampa, nell’articolo dal titolo “Nel palazzo degli orrori tra piccoli spacciatori e giovani madri prostitute”, Grazia Longo:
Il casermone di edilizia popolare a Parco Verde di Caivano non è unicamente teatro di potenziali stupratori e assassini. A renderlo un palazzo degli orrori non ci sono solo la violenza sessuale e l’omicidio della piccola Fortuna Loffredo («abusi sessuali cronici», recita l’autopsia), la morte misteriosa del piccolo Antonio Giglio e il terribile sospetto di almeno un’altra bambina abusata. A trasformare gli otto piani, con porte di ferro stile carcere e muri scrostati, in infernali gironi danteschi c’è un degrado socio-culturale, prima ancora che economico, che attanaglia le vite di chi vi alloggia in una morsa difficile da scardinare.
Buona parte degli uomini è agli arresti domiciliari o è appena uscito dal carcere. Giovani madri si prostituiscono per 5 e 10 euro con i vecchi pensionati del quartiere e la compiacenza dei conviventi-sfruttatori. E i bambini non sono bambini, ma adulti abbruttiti in miniatura, con tutte le perversioni che possono derivare da un’allarmante promiscuità sessuale e una dilagante abitudine all’illegalità.
Nonne che invece di raccontare favole o aiutare nei compiti della scuola, imbustano nel cellophane termosaldato palline di cocaina, genitori che hanno abdicato da tempo al loro ruolo se non per risvegliarsi davanti alle telecamere che in questi giorni impazzano nel cortile.
Un’infanzia violata nello spirito prima ancora che nel fisico. Germogli di vita spezzati ancora prima di avere la possibilità di sbocciare.L’orco da cui difendersi su cui indaga il procuratore Francesco Greco non è solo colui che ha approfittato della piccola Fortuna, Chicca per chi le vuole bene, ma l’indifferenza generale in cui un dramma del genere si è potuto consumare. Nel palazzo degli orrori sono tutti amici e tutti nemici. Anche i testimoni del volo dal balcone di Fortuna, lo scorso 24 giugno, dicono tutto e il contrario di tutto. Idem per la morte, il 28 aprile 2013, del piccolo Antonio. E se per quest’ultimo non sapremo mai la verità su presunti abusi sessuali – il medico legale consulente della Procura ha spiegato che dopo tutti questi mesi non esistono più tessuti molli da esaminare – trovare il colpevole nel caso di Chicca è un’impresa particolarmente ardua per la Procura di Napoli Nord e i carabinieri. Raccapriccianti i racconti delle compagne di gioco della vittima interrogate – con audizioni protette alla presenza di un pool di psicologi – dai pm Federico Bisceglia e Claudia Maone. Confuse e omertose le dichiarazioni di testimoni e familiari. Tanto che non è neppure certo che la piccina sia volata da un piano alto: sul selciato non c’era sangue e potrebbe essere stata spinta da un piano più basso o violentemente picchiata e poi adagiata in cortile. Nessuno ha assistito alla caduta. Aveva paura Chicca, era terrorizzata, e lo ha raccontato nei disegni ora al vaglio di un’esperta.
L’ombra del pedofilo killer si allunga su questo brutto palazzo di brutta periferia, ma a fare paura c’è anche il traffico di droga e di prostitute con il benestare della camorra. Il palazzo degli orrori è incastonato tra le tredici piazze di spaccio di Parco Verde di Caivano, con adolescenti che tirano su anche 50 euro al giorno come sentinelle che sorvegliano il mercato della droga. A differenza di Scampia, qui i clan camorristici non si fanno guerra aperta e quindi attirano meno l’attenzione. Anche il nonno di Antonio Giglio era un capo clan. Ma qui non c’è l’ostentazione mafiosa di Scampia.
Anche qui l’unico mito è il Dio denaro e il buon parroco, don Maurizio Patriciello, ha il suo bel da fare per combatterlo in nome dell’onestà e dei valori etici prima ancora che cristiani. «Lo Stato ci ha abbandonato – dice – se chiude la chiesa è finita per tutti. Ma io non mollo e continuo a lottare in difesa della legalità». Angelo Pisani, avvocato del padre di Fortuna, in carcere per falsificazione di cd, chiede al governo «una bonifica sociale in questo quartiere devastato da omertà e infanzia rubata».