NUOVA DELHI, INDIA – La rivincita degli eunuchi: la Corte suprema indiana ha riconosciuto ufficialmente il “terzo sesso”, quelli che non si sentono né uomini né donne, che nel subcontinente sono chiamati con un termine dispregiativo hijra (“impotenti”) e che i coloni inglesi chiamavano “eunuchi”, quando erano soprattutto un elemento decorativo negli harem dei potenti. Nel mondo occidentale li chiamiamo “transgender” o “transessuali” e in nessun Paese hanno i diritti che ora riconosce loro l’India (come già i vicini Pakistan, Nepal e Bangladesh).
Il massimo organo giudiziario indiano ha accolto un ricorso collettivo presentato nel 2012 dagli hijra: potranno veder certificata la loro appartenenza a un “terzo sesso” sul passaporto e sulla patente, avranno accesso al sistema sanitario e diritto a bagni pubblici separati. Avranno i diritti degli altri cittadini, e posti riservati nelle scuole e nella pubblica amministrazione come è previsto con le minoranze e le caste “inferiori”, contro discriminazione delle quali l’India sta mettendo in pratica faticose politiche (si tratta di combattere contro una cultura radicata da millenni).
Eppure la loro vita è stata tutt’altro che semplice, in un Paese che un po’ li disprezza, un po’ li riverisce e un po’ li teme. Come succede durante i matrimoni, quando puntualmente si presenta un gruppo di hijra e nessuno nega loro l’elemosina, una pratica estorsiva ma tollerata e low impact. Hanno un posto nel Pantheon della mitologia indiana, dove esiste una Dea trans che è la loro “patrona” protettrice.
Racconta su Maria Grazia Coggiola su La Stampa:
“Si stima che in India ci siano dai 3 ai 5 milioni di transessuali che vivono di prostituzione, elemosine o con spettacoli di danza. […] «Il terzo genere non è una questione sociale o di scienza medica, ma è un diritto umano» ha commentato il giudice KS Radhakrishnan aggiungendo che i transessuali «sono cittadini come gli altri e devono avere le stesse opportunità». La sentenza, giunta in un momento in cui l’India è impegnata nella maratona elettorale per il rinnovo del Parlamento, segna una svolta epocale per gli «hijra» dopo secoli di discriminazione.
All’epoca dei «mughal», i sovrani musulmani che per circa mille anni hanno dominato il subcontinente indiano, questa comunità era rispettata e anche potente nei palazzi reali. Sono stati poi gli inglesi, puritani, a metterli al bando con una legge del 1871 che li inseriva tra le comunità «criminali» per il loro modo di vita libertina. Ma la vittoria è solo a metà perché come sempre l’India si mostra un Paese di enormi contraddizioni. La stessa Corte Suprema, lo scorso dicembre, aveva infatti reintrodotto il vecchio reato di «sesso contro natura» stabilito dall’articolo 377 del Codice penale rovesciando una precedente sentenza del 2009 di un tribunale inferiore. Per omosessuali e transessuali è stato un ritorno al passato di una società ancora molto bigotta. Paradossalmente quindi, dopo la sentenza di ieri, gli «hijra» possono reclamare i loro diritti, ma sono fuori legge per quando riguarda la loro sessualità”.