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Selvaggia Lucarelli contro il Fatto Quotidiano: “Recensione sulle mie tette”

di Elisa D'Alto |22 Aprile 2014 19:15

Selvaggia Lucarelli

ROMA – Selvaggia Lucarelli non ha gradito affatto la recensione pubblicata dal Fatto Quotidiano sul suo libro “Che ci importa del mondo“. Recensione a firma della blogger Elisabetta Ambrosi puntata quasi esclusivamente sul problema che ha la protagonista (alter ego dell’autrice) ad essere presa sul serio sul lavoro e dagli uomini nonostante un decolleté prorompente. La Ambrosi sul Fatto ha scritto:

Lasciateci in pace, per favore, siamo amareggiatissime. Siamo le tette di Viola Agen, alias Selvaggia Lucarelli, fresca del suo primo romanzo (Che ci importa del mondo, Mondadori). Siamo state sue umili servitrici, cavallo di Troia per entrare in ogni tipo di trasmissione tv e ora all’improvviso scopriamo di essere un ingombro perché “con le tette al massimo si va a Sanremo, mica al premio Strega” e invece lei al premio Strega ci vorrebbe arrivare (che poi visti i candidati perché no). Ma qui manca proprio la logica: perché per due terzi del libro la signorina continua a portarci in giro quando esce con gli uomini più improbabili rivendicando il diritto di fare l’intellettuale pure seminuda (“Non puoi aspettarti di essere accolta nei salotti letterari del paese vestita così, chi ti impedisce di infilarti un lupetto nero con una spilla vintage? Certo, perché no, anche di infilarmi due sassi in tasca e calarmi nel Po come Virginia Woolf”). Poi a un certo punto, in un dialogo con le sue amiche, vero climax del libro, comincia a lamentarsi di noi – “Provate a convivere con qualcosa che arriva sempre un attimo prima di te in una stanza” – e di lì è un precipitare di ingratitudine, fino a quando incontra un candidato sindaco che le propone di stare al suo fianco in campagna elettorale e lei rifiuta con riluttanza perché “a sinistra le tette non piacciono, evocano volgare opulenza”. Insomma Selvaggia deciditi: o ci porti fiera fin dentro il Ninfeo o ti rassegni al sandalo piatto comunistoide. Ma presentare il libro da Feltrinelli abbottonata fino al collo e però col tacco dodici pitonato no. Un po’ di coerenza.

Al che, su Libero, la Lucarelli risponde:

Ho letto ieri su“Il Fatto” l’appassionante recensione delle mie tette a cura della nota blogger Elisabetta Ambrosi. Ho letto anche che nel pezzo, già che c’era, ha nominato pure il mio romanzo, “Che ci importa del mondo”, ma a lei quello interessava poco, perché stava recensendo la mia quinta. Al massimo, la quartadi copertina.

Comunque, non il libro. Perché lei, di 560 pagine, ricorda solo tre riferimenti alle tette. Parla solo di quelle,come solo certe rosicone malevole che pensano di appartenere a una certa élite culturale sanno fare. O come certiuomini beceri, che di questi tempi, se solo si fossero azzardati a intitolare la recensione di un libro “Selvaggia, il dramma delle tette sempre davanti”, come ha fatto lei, se solo si fossero permessi di scrivere un pezzo facendo parlare le mie tette come ha fatto la Ambrosi, oggi sarebbero crocifissi in sala mensa. O nel salotto di casa Boldrini. Vorrei dire altro, ma credo che a infierire sulla signora Ambrosi, ci pensi la biografia sul suo blog che, lo riconosco, è molto più esilarante del mio romanzo. Vi regalo l’incipit: «Bambina cattolicissima,adolescente che invece di andare ai cento giorni restava a casa a scrivere una tesina sull’andamento dialettico in Hegel».Capito?

Le adolescenti andavano in gita e magari sviluppavano pure le tette,mentre lei studiava Hegel piallata come la Bassapadana. Poi vabbè, sempre dalla sua imperdibile biografia apprendiamo che la signora ha provato a scrivere più di un libro, da “Inconscio ladro” a “Mamma a modo mio” al notevole “Sos tata, nuovi consigli e ricette”. Insomma, una non va alle gite per studiare Hegel e La fenomenologia dello spirito e poi scrive la fenomenologia del semolino. O delle tette altrui. Oppure articoli sul suo blog con titoli avvincenti, tipo “Quanto ci manca Biancaneve!” o “L’Italia vista da Peppa Pig” (giuro, ci sono). Do un mite consiglio, alla signora Ambrosi: se a causa di sue ambizioni frustrate proprio vuole recensire le mie tette con la scusa di un libro,provi almeno a indovinare la casa editrice del mio romanzo, nel suo pezzo, che è Rizzoli, non Mondadori come ha scritto lei. Questo, a casa mia piena dicassetti traboccanti wonderbra, si chiama fare male il proprio lavoro, pure con una retromarcia di reggiseno. E io i miei articoli a Libero limando senza erroracci da dilettante.

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