ROMA – Per la pornostar Valentina Nappi “oggi il fascismo si chiama anticapitalismo”. Lo ha scritto sul suo blog su Micromega la Nappi, 24 anni il prossimo 6 novembre, nata a Scafati e cresciuta a Pompei, debutto nell’hard a 21 anni, grazie a Rocco Siffredi. Non è la prima volta che l’esuberante Valentina esprime opinioni politiche.
Personaggio ricco di sorprese (leggere intervista concessa a Daniele Castellani Perelli de L’Espresso), la Nappi non ha paura di avventurarsi in un post dal titolo incendiario, in cui spiega come è arrivata a tali conclusioni, partendo da molto lontano, dalla sua esperienza di vita e dal perché si interessa di politica e dalla sua posizione antifascista (ricordare polemica con Matteo Salvini):
“E se sei una pornostar, invece? Se sei una pornostar che incarna la logica dicotomica santa/puttana, forse saresti andata bene anche ai nazisti (ma forse no, perché la tua condotta sarebbe comunque ricaduta nei ‘comportamenti anti-sociali’). Se invece sei una pornostar che promuove l’idea che ‘tutte le donne dovrebbero essere troie’ e che ‘tutte le ragazze dovrebbero essere ragazze ultra-facili’, allora nella Germania nazista, ma anche nell’Italia fascista, avresti certamente fatto una brutta fine. E avresti seri problemi anche oggi, in Europa, qualora prendessero il potere certi movimenti nazionalisti, xenofobi e antimoderni. Quindi della politica devi preoccuparti, inevitabilmente. Ed è per questo che ho deciso di dedicare questo post al problema del fascismo, dando ovviamente per scontato che chi sta dalla mia parte deve essere antifascista nel senso più radicale possibile. Contrariamente a quanto pensano molti imbecilli, non si tratta di essere ‘antifascisti in assenza di fascismo’, bensì di essere radicalmente antifascisti in presenza del concreto rischio di derive fasciste.
È del tutto evidente il legame tra fascismo e piccola e media borghesia. Inoltre, non è difficile capire che in assenza di piccola e media borghesia non può esserci, e non avrebbe potuto esserci, alcuna deriva fascista (ma tutt’al più una rivoluzione comunista). Si tratta di constatazioni di assoluta evidenza, constatazioni del tutto banali. […]
Il fascismo è dunque lotta ‘al di là della destra e della sinistra’ (che vuol dire: non egualitarista) contro il grande capitale e contro la politica dei ‘fantocci’ liberali che del grande capitale sono espressione. La retorica fascista della lotta fra ‘lavoro’ (quello del commerciante, del piccolo imprenditore) e grande capitale finanziario, retorica che si traduce negli slogan dei piccoli imprenditori che ‘si alzano tutte le mattine’ e ‘lavorano più dei loro dipedenti’ e ‘portano sulle spalle il Paese’, oscura la vera lotta di classe che è innanzitutto quella tra il piccolo commerciante con la Porsche Cayenne e il commesso sottopagato in nero, tra il piccolo imprenditore e l’operaio ricattabile che non gode delle tutele dell’articolo 18 perché i dipendenti sono meno di quindici… Certo, il grande capitale finanziario globale non è il bene assoluto, ma rappresenta un problema che non è progressivo affrontare nella presente fase storica, poiché anche chi è comunista deve capire che in Occidente non ci sarà mai un’evoluzione verso la socializzazione dei mezzi (anche finanziari) di produzione fin quando sopravviveranno diffusi interessi di tipo piccolo e medio borghese (e l’eventuale prevalere, qui ed ora, di tali interessi su quelli del grande capitale, vedi eventualità di una deflagrazione dell’eurozona, porterebbe esclusivamente svantaggi alla classe operaia, vedi potere d’acquisto dei salari).
Nella presente fase storica, le grida contro il grande capitale finanziario globale sono grida in difesa della piccola e media borghesia. Sono grida reazionarie. Il processo di centralizzazione dei capitali è infatti condizione necessaria per un autentico progresso storico, e l’alternativa è restare impantanati nella dialettica borghese fra liberalismo ‘critico’ e fascismo. Anche il comunista, soprattutto il comunista, deve sperare che l’evoluzione postborghese del capitalismo contemporaneo vada avanti. Si tratta di un processo che richiederà raffinati equilibrismi affinché sia scongiurata la presa del potere da parte di movimenti fascisti (uno dei pericoli principali risiede nell’alleanza fra borghesia e disoccupati, e il grande capitale deve persuadersi della necessità di portare i disoccupati dalla propria parte).
[…] Il fascismo parla il linguaggio dell’antitecnocrazia, esplicita o mascherata da antiplutocrazia, e si propone come forma non egualitaria di antiplutocrazia quando esiste la possibilità concreta di una svolta egualitaria, e come anticapitalismo quando una svolta egualitaria non è plausibile (ad esempio perché sono necessari certi sviluppi storici ulteriori, ad esempio la fine della piccola e media borghesia). Oggi il fascismo si chiama anticapitalismo”.
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