Adolf Hitler odiava il padre. Da bambino era un bullo. Libro racconta la sua vita

Adolf Hitler odiava il padre. Da bambino era un bullo. Libro racconta la sua vita
Adolf Hitler bambino

ROMA – Adolf Hitler fece di tutto per cancellare i segreti della sua giovinezza e della famiglia ma un nuovo libro sull’adolescenza del dittatore, rivela che a 12 anni [App di Blitzquotidiano, gratis, clicca qui,- Ladyblitz clicca qui –Cronaca Oggi, App on Google Play] era un bullo arrabbiato che non aveva amici, a scuola andare male in storia e matematica e che gli piaceva soltanto disegnare.

Il libro di Paul Ham, “Young Hitler: The Making of the Führer”, racconta gli anni pieni di rabbia di quel giovane inaffidabile e solitario che un giorno l’avrebbero trasformato in una figura leggendaria. “Dopo essere diventato cancelliere, Hitler ha fatto di tutto per sopprimere quanto accaduto nella giovinezza, arrivando a ordinare l’esecuzione di un mercante d’arte con cui da ragazzo aveva stretto amicizia e che minacciava di rivelare dettagli sgradevoli della sua prima giovinezza a Vienna”, scrive l’autore.

Il padre Alois era nato da Maria Schicklgruber, figlia nubile di un contadino, probabilmente messa incinta da un consanguineo. Gli Schicklgruber erano contadini poveri, avevano così pochi soldi e a volte dormivano in un abbeveratoio. In seguito Maria sposò un povero assistente del mugnaio, Johann Hiedler, e all’età di 39 anni Alois adottò il cognome di “Hitler”, una variante di Hiedler, per prendere le distanze dal passato povero e dal nome Schicklgruber.  Sostenne di essere figlio di Johann Hitler, e non uno Schicklgruber: la prima menzogna ufficializzata nel registro parrocchiale che eliminò il più grande ostacolo alle ambizioni politiche del futuro dittatore.

Alois, che sposò la sua cameriera Klara, terza moglie di 24 anni più giovane, era violento e passava più tempo nella taverna che a casa, dove regolarmente picchiava il figlio Adolf, scrive Ham. Prima di stabilirsi in Baviera, sul lato tedesco del confine austriaco nel 1892, la famiglia cambiò costantemente case e villaggi. Klara coccolò il figlio e si prese cura dei due figli di Alois nati dal secondo matrimonio, ma fu Adolf che ricoprì d’amore. Adolf odiava il padre, sentimenti che si manifestarono in esplosioni di collera fino all’età adulta.

Nel 1894, Klara dette alla luce Edmund e due anni dopo Paula. Adolf aveva nove anni ed era risentito di non essere più l’unico figlio. Nel 1898, la famiglia si trasferì appena fuori Linz, in Austria, dove Edmund morì di morbillo, ripristinando lo status di figlio unico. Ma ciò non diminuì l’odio per il padre che riversava sugli insegnanti e i compagni di classe. Iniziò a leggere i romanzi del tedesco Karl May, le storie di cowboy e indiani e reclutò ragazzini più piccoli per giocare ai pistoleri. Diventò ancor più arrogante, senza cuore, senza amici e non ascoltava nessuno, si infuriava per qualsiasi sciocchezza.

L’unico professore che gli piaceva era Leopold Poetsch, che insegnava la storia con “racconti avvincenti del passato eroico della Germania”. Fu Poetsch che “attivò l’orgoglio per una Grande Germania e insinuò l’idea che ebrei e slavi non solo era diversi e indesiderabili ma anche di razza inferiore”.

Il sogno di Adolf era quello di diventare un “grande artista”, un futuro inutile criticato dal padre che quando morì, nel 1903, tutta la famiglia si sentì sollevata. Adolf fu espulso dalla scuola e smise di studiare a 16 anni. Disse alla madre di aver perso l’ultima pagella ma in realtà l’aveva usata come carta igienica.

Perdeva tempo a inseguire una “vita di piacere”, da adolescente viveva in un mondo fantastico immaginando di essere un genio che avrebbe ridisegnato la città di Linz. Un ex insegnante, Eduard Huemer, ricordava Hitler come “testardo, altero, dogmatico e irascibile, incline a fare scherzi ad altri ragazzi”. Odiava la scuola, i compagni di classe, gli insegnanti e li incolpava tutti del suo fallimento, così come la Chiesa cattolica e un prete della scuola che lo aveva offeso. Quando lasciò la scuola, si rifiutò di aiutare la madre. Si sentiva superiore a un operaio.

Un amico d’infanzia, August “Gustl” Kubizek, in seguito scrisse un libro di memorie in cui parlava del loro “rapporto sbilanciato”, dominato da Hitler che rimproverava continuamente il suo unico e solo amico, un musicista timido e talentuoso, per le sue idee convenzionali.  “Hitler era lo spaccone e il pallone gonfiato mentre Kubizek, il seguace autolesionista e paziente ascoltatore”, scrive Ham.

Era ossessionato dalle “forze oscure” che credeva presenti nella sua vita. Quando perse a una lotteria, attribuì il fatto a quelle misteriose forze oscure, agli organizzatori e ai gestori che chiaramente avevano truccato il risultato contro di lui, ha scritto Kubizek nel libro “The Young Hitler I Knew” e la cui madre ricordava gli occhi di Hitler come “brillanti, vuoti e crudeli”.

All’inizio del 1906, Hitler confessò a Gustl di essere innamorato della bionda Stefanie Isak che spesso vedeva camminare a Linz. Era ebrea ma Ham scrive che Hitler “in quel momento mostrava pochi segni di antisemitismo, dava poco peso alla questione”, citando un documentario della BBC, The Making of Hitler.

Hitler riteneva che Stefanie ricambiasse i sentimenti e lo amasse con la stessa intensità. Scrisse lettere e poesie che non ha mai spedito ma la ragazza non aveva idea dell’esistenza di Adolf: era troppo timido per parlarle e chiese a Gustl di spiarla. Per quattro anni, Hitler ha fantasticato su Stefanie come il “sogno più puro della sua vita” ma non scambiarono mai una parola.

Quando si trasferì a Vienna all’inseguimento di una carriera artistica impossibile, le mandò una cartolina non firmata in cui dichiarava il suo amore e che doveva aspettarlo. Stefanie non aveva idea di chi si trattasse. Il sogno svanì quando la giovane sposò un ufficiale di stanza a Linz e a quel punto l’ossessione di Hitler si rivolse alle opere di Wagner ed era convinto che Rienzi, de L’ultimo dei tribuni, stesse “mandandogli un messaggio psichico per condurre il popolo tedesco fuori dalle tenebre”.

Determinato a diventare un artista, aveva sostenuto gli esami all’Accademia di Belle Arti di Vienna ma fu respinto. Quando nel 1907 la madre morì di cancro al seno perse “l’unica persona che amava”, scrive l’autore. In quel momento la sua rabbia era rivolta ai diplomati dell’Accademia d’Arte, al più ampio movimento artistico e alle controparti in architettura, musica e poesia di cui considerava “i suoni e le scene di una mostruosa decadenza”.

Tornò all’opera e “i suoi stati d’animo oscillavano tra furia e disperazione, apatia e ansia”, scriveva Gustl. Hitler non ha mai imparato a leggere o scrivere musica ma disse all’amico che stava scrivendo un’opera. Era tutta una fantasia, non guadagnava denaro, sprofondava nella più triste poverà e viveva per strada ma rifiutava di lavorare. Era diventato “un vagabondo sporco e disordinato, irriconoscibile rispetto al dandy disinvolto di Linz. Era considerato sporco perfino dagli altri indigenti e per quanto era trasandato, rischiò di essere espulso dall’ostello”.

Il vagabondo, Reinhold Hanisch, la cui sfortuna era dormire nel letto adiacente del rifugio, ricordava Hitler i cui piedi sanguinavano dal camminare per le strade e che diceva di essere un pittore sfrattato dalla padrona di casa. “Hitler era ridotto a mendicante, a predare disadattati e ubriachi”, scrive l’autore.

Come Führer cercò di cancellare quei momenti della sua vita e nel 1936 ordinò che Hanisch venisse stanato e ucciso. Ma era stato proprio Hanish che 18 anni prima, gli suggerì di dipingere delle cartoline che avrebbe poi venduto ai turisti. Hitler in seguito affermò aver conosciuto a Vienna “molte belle donne”, il suo tipo ideale era “carina, coccolona, ingenua, tenera, dolce e stupida”. Il rapporto sessuale lo inorridiva così come l’idea della sifilide, l’omosessualità lo disgustava e secondo il suo vecchio amico Kubizek, si era persino astenuto dalla masturbazione, scrive il Daily Mail.

Tutto ciò era una copertura per la paura di essere sessualmente inadeguato. La vita e la fede di Hitler si concentrarono sulla Germania vista come salvatrice dell’Europa e del popolo tedesco: un’idea germogliata nella giovinezza e che s’infiammò quando nel 1918 la Germania firmò l’Armistizio. Un’altra bugia che scrisse su Mein Kampf fu che lasciò Vienna con un violento odio per il popolo ebraico ma in realtà due dei suoi più cari amici erano ebrei. Ed erano i più grandi compratori delle sue cartoline che lo allontanavano dalla terribile povertà. L’antisemitismo in quel periodo era solo rispetto agli ebrei ortodossi nei tradizionali abiti neri, ampi cappelli, barbe, che provocavano una morbosa curiosità e non odio.

L‘antisemitismo fu inventato anni dopo “per facilitare le ambizioni politiche”, secondo Ham. La verità era che il suo odio verso il popolo ebraico derivava dalla paura che la razza ebraica rappresentasse una seria minaccia alla fantasia ariana secondo cui la Germania sarebbe stata di nuovo grande. Un’altra verità che tentò di nascondere è che alla visita di leva fu dichiarato “inadatto al servizio militare, al combattimento e al servizio di supporto, troppo debole e incapace di sparare con le armi”.

Il 24enne orfano, disoccupato e senza amici si salvò quando la Germania dichiarò guerra alla Russia all’inizio della prima guerra mondiale. Si offrì volontario per l’esercito tedesco e fu respinto. Provò nuovamente e accettato come soldato di fanteria: aveva trovato una casa, una causa, un impiego regolare e cameratismo. “La guerra ha rappresentato il momento più grande e indimenticabile della mia esistenza terrena”, ha affermato in seguito. Quando l’11 novembre 1918 fu firmato l’Armistizio, la Germania aveva perso la guerra.

In quattro anni, 37 milioni di persone furono uccise o ferite. Hitler provò un odio furibondo per chi aveva firmato l’armistizio. Desiderava un futuro governato da una Grande Germania. “La Germania del dopoguerra per un uomo come Hitler è stato un trampolino di lancio e un terreno fertile”, scrive l’autore al contempo avverte che potrebbe accadere di nuovo, data la presenza di giovani fascisti che denigrano “musulmani” o “ebrei” o messicani, non riuscendo ad affrontare il profondo trauma economico che è il vero flagello dell’Occidente”.

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