Catalogna, il metronomo della secessione: alle 18 l’azzardo o la marcia indietro

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Catalogna, il metronomo della secessione: alle 18 l’azzardo o la marcia indietro

ROMA – Catalogna, il metronomo della secessione: alle 18 l’azzardo o la marcia indietro. Fino alle 18 di questa giornata cruciale per le sorti della Catalogna ogni congettura è lecita: fuga in avanti e secessione adesso, marcia indietro con dichiarazione generica che non impegni la Generalitat a passi decisivi, terza via magari sul modello sloveno di una indipendenza differita a tempi più propizi.

Ma “a las seis de la tarde” parlerà Carles Puigdemont, il capo della Generalitat, il governo autonomo catalano: da quel momento tutti gli occhi di Spagna saranno concentrati di lui. Ascolterà, se non i consigli (dei suoi di non imboccare una strada senza ritorno), le minacce del governo centrale? Procederà imperterrito pronunciando ciò che con un acronimo esorcizzante viene chiamata Dui, e cioè la Dichiarazione unilaterale di indipendenza?

Contro questa eventualità si sono spesi anche gli “amici” della Catalogna, interni ed esterni: il segretario dei socialisti Pedro Sanchez gli ha anticipato che in caso di secessione starà con Madrid, la sindaca di Barcellona lo implora di non bruciare altri ponti, il ministro degli affari europei francese  avverte che non riconoscerà nessuna Catalogna indipendente, Angela Merkel in persona ha espresso solidarietà a Rajoy.

Meno accomodanti le minacce del premier Rajoy, che non parla ma oscilla tra l’applicazione dell’articolo 155 e il 116: nel primo caso la legge prevede una parziale sospensione dell’autonomia regionale con scioglimento del Parlamento e nuove elezioni, nel secondo a parlare sarebbero le armi, visto che verrebbe attivato lo stato d’emergenza. Un deputato popolare poco diplomatico, Pablo Casado, ha evocato l’arresto di un predecessore di Puigdemont, quel Companys arrestato nel ’34 a seguito della dichiarazione d’indipendenza, lo stesso presidente della Generalitat torturato e giustiziato dai franchisti nel ’40, per dire dei toni raggiunti dallo scontro istituzionale.

Ansia e paura sono i sentimenti dominanti, l’elicottero che sorvola il palazzo della Generalitat è più di un fosco presagio. Oggi pomeriggio convergeranno sul palazzo i fan delle opposte fazioni, i deputati socialisti hanno già prenotato un bus per evitare pericolosi contatti. Nel frattempo banche e grandi aziende hanno iniziato a smobilitare trasferendosi in paesi con più certezze giuridiche e costituzionali.

Si parla di una «Dui» che sposti a sei mesi l’entrata in vigore della legge di transitorietà, viene posto come esempio il modello sloveno (Lubiana votò nel 1990 e poi attese di essere riconosciuta dai Paesi europei). Ma la via dell’indipendenza progressiva, con la previsione di avviare un processo costituente, non accontenta né i secessionisti, né il governo spagnolo («Non ci possono dire che infrangeranno la legge fra sei mesi»). La Cup, movimento dell’ultra sinistra, teme che l’oste metta acqua al vino: «L’indipendenza è o non è». (Francesco Olivo, La Stampa)

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