Clandestino? Non è reato. La Bossi-Fini e la battaglia Ue sugli immigrati

BRUXELLES – L’Italia non può sbattere in carcere i clandestini che non rispettano l’ordine di abbandonare il Paese. La sentenza è quella della Corte di Giustizia europea secondo cui la cella rischia di creare problemi alla politica di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini irregolari nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.

Le conseguenze sono secondo i primi conti, fatti dal Sole 24 Ore, la scarcerazione di 1300 detenuti circa. Vediamo in particolare cosa dicono le norme, dalla legge Bossi-Fini alla direttiva Ue fino all’ultima sentenza della Corte.

La Bossi-Fini è la legge 189/2002 di modifica e integrazione sul Testo Unico (decreto 286/1998) sull’immigrazione che ha come primo obiettivo espellere e allontanare, tramite sanzioni per lo straniero che resta anche se non può.Sono però ormai centinaia le ordinanze di remissione di questioni di legittimità contro il Testo Unico.

Ricorda il Sole 24 Ore che la “Corte costituzionale – con le pronunce 222 e 223 del 15 luglio 2004 – ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’arresto obbligatorio dello straniero in presenza di un reato contravvenzionale quale era l’inottemperanza all’ordine di allontanamento, tanto che il legislatore, con la legge 271/2004, ha ridefinito come delitto l’indebita permanenza in Italia del clandestino. Sempre la Corte costituzionale, con la sentenza 359/2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 14, comma 5-quater del Testo unico nella parte in cui non dispone che l’inottemperanza all’ordine di allontanamento, secondo quanto già previsto per la condotta del precedente comma 5-ter, sia punita nel solo caso che abbia luogo senza giustificato motivo”.

Secondo la legge è clandestino chi «è entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera e non è stato respinto», o se si trattiene in Italia senza aver richiesto il permesso di soggiorno, o con un permesso scaduto da più di 2 mesi e di cui non è stato chiesto il rinnovo.

Se scoperto c’è un ordine di allontanamento (volontario) emesso dal prefetto ed eseguito poi, se necessario, dal questore, con l’accompagnamento coatto alla frontiera, previo trattenimento nei Cie. Se non si rimpatria il questore ordina nuovamente allo straniero di allontanarsi entro 5 giorni. La violazione di questo ordine, dal 2009, è punita con il carcere da 1 a 4 anni, che possono diventare 5 nel caso di ulteriore violazione.

Poi c’è a direttiva 2008/115, entrata in vigore nel gennaio 2009 e non ancora recepita da 12 Paesi tra cui l’Italia. Secondo quanto spiega il Sole 24 ore “nel periodo entro cui deve adempiere volontariamente all’ordine di espulsione, lo straniero può essere controllato con varie misure amministrative (cauzione, consegna dei documenti, obbligo di dimora in un luogo) fino all’ordine di allontanamento immediato. È possibile adottare misure coercitive per l’allontanamento, ma «adeguate» e con «uso ragionevole della forza». Il trattenimento è possibile in casi estremi ma deve essere «brevissimo»”.

Infine c’è lo “schiaffo” o semplicemente la precisazione della corte di giustizia europea: “La Corte considera che gli Stati membri non possono introdurre (…) una pena detentiva (…) solo perché un cittadino di un paese terzo, dopo che gli è stato notificato un ordine di lasciare il territorio nazionale e che il termine impartito con tale ordine è scaduto, permane in maniera irregolare in detto territorio”, si legge in una nota diffusa oggi dalla Corte che sollecita gli Stati membri “ad adoperarsi per dare esecuzione alla decisione di rimpatrio, che continua a produrre i suoi effetti”.

Tale pena detentiva “rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare nel rispetto dei loro diritti fondamentali”.

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