BRUXELLES – L’ufficialità manca, ma la probabilità è alta: il nuovo capo dell’Eurogruppo al posto di Jean-Claude Juncker sarà Jeroen Dijsselbloem, ministro delle finanze olandese, 46 anni. L’annuncio ufficiale non arriverà fino alla prossima riunione dell’Eurogruppo (l’organismo che riunisce tutti i ministri dell’Economia dei 17 Stati che adottano l’euro) previsto il prossimo 21 gennaio. Ma è difficile che venga fuori un nome diverso da quello del ministro olandese, da tutti indicato come il successore in pectore di Juncker.
Dijsselbloem, da laburista, è stato l’alfiere di un duro programma di austerità, condotto dalla strana alleanza ora al governo in Olanda fra i liberali di centrodestra del Vvd (Partito del Popolo per la Libertà e la Democrazia) e i laburisti del PvdA. Un’alleanza che ha “tagliato le ali estreme” in nome dell’europeismo e dell’austerity. Un po’ quello che succederebbe in Italia se dopo il voto il Pd senza Sel si alleasse con la lista Monti.
Per questo Dijsselbloem, pure sulla carta uomo di sinistra, non convince Francois Hollande, massimo esponente della fazione anti-austerity fra i capi di Stato europei. Chissà se il ministro delle finanze olandese avrà provato a portare dalla sua parte Hollande, quando la settimana scorsa è andato a Parigi per un incontro con il suo omologo francese Pierre Moscovici.
Nessun dettaglio del loro incontro è stato reso pubblico. Probabilmente non ci sarà una benedizione ufficiale di Dijsselbloem da parte del governo francese, ma il quotidiano economico transalpino La Tribune ha scritto che “Dijsselbloem ha tutto le caratteristiche che Moscovici sta cercando nel prossimo presidente dell’Eurogruppo”.
Dijsselbloem è un esponente l’ala destra del Partito Laburista Olandese (PvdA). Egli è considerato un riformista e un “falco” del rigore di bilancio – biglietti da visita che lo rendono gradito al governo tedesco.
La Germania ha insistito sul fatto che il nuovo capo dell’Eurogruppo debba provenire da un Paese con un rating “AAA” sul suo debito pubblico, cosa che ha già ristretto notevolmente la rosa dei candidati. Oltre alla Germania, solo il Lussemburgo, la Finlandia e l’Olanda hanno il massimo del rating. Dopo che il no netto di Parigi alla candidatura del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble, per la Germania Dijsselbloem è il secondo nome sulla lista. Berlino vede il governo olandese come l’alleato più affidabile nelle politiche da adottare contro la crisi dell’euro.
Ecco perché l’inesperienza di Dijsselbloem passa in secondo piano. Il quarantaseienne dall’aspetto giovanile, capelli scuri e occhiali senza montatura è un debuttante sulla scena europea. Nominato ministro delle Finanze solo lo scorso novembre, prima di allora era stato solo il semisconosciuto portavoce del partito laburista olandese in tema di Istruzione. Di lui i giornali si occuparono solo quando attaccò la violenza presente in alcuni videogiochi.
L’economista specializzato in agricoltura avrà un grande gap da colmare se sarà poi effettivamente nominato in una delle posizioni più importanti nella battaglia contro la crisi del debito. La sua inesperienza risalta ancora di più se confrontata con il corposo curriculum del suo predecessore, il premier lussemburghese Jean-Claude Juncker, il ritratto vivente dell’eurocrate, uomo che dopo avere per anni sostenuto – da posizioni di centrodestra – le politiche di austerity, se n’è voluto uscire da sinistra con un testamento politico che recupera Marx, lancia l’idea di un salario minimo in tutta Europa e fa autocritica sul rigore senza sviluppo sin qui portato avanti dal tandem Bruxelles-Berlino, suggellato dal “fiscal compact”.
Non è detto che il basso profilo di Dijsselbloem si riveli uno svantaggio. Al contrario, in Europa, i candidati non appariscenti dei paesi più piccoli hanno una lunga tradizione di successi. Il belga Herman van Rompuy era una grande punto interrogativo per tutti nel 2009, quando fu inaspettatamente eletto primo presidente del Consiglio europeo. La sua nomina fu accolta con grande scetticismo, ma alla lunga si dimostrò un mediatore efficiente, proprio perché non è mai stato percepito come portatore di particolari interessi nazionali.
Dijsselbloem parla bene l’inglese, e dopo la laurea ha fatto un anno di master in business administration in Irlanda. Di sé dice di essere un buon ascoltatore, anche questa dote in politica si rivela spesso un difetto. Catherine Ashton, il “ministro degli esteri” europeo, ricevette grandi lodi iniziali perché era una persona che sapeva ascoltare. Ma poi fu criticata per la sua leadership debole e per la sua mancanza di strategie a lungo termine.
Il ruolo di capo dell’Eurogruppo, tuttavia, richiede un’attitudine conciliante, una capacità di mediare. Quindi, rispetto alla parte da primadonna che Juncker si era ritagliato col suo fare da “Mister Euro“, sarà apprezzata la riservatezza di Dijsselbloem. Che, però, come insegna il crescente protagonismo di Van Rompuy, potrebbe riservare anche lui delle sorprese, magari non graditissime ad Angela Merkel.