Germania debole sulla scena internazionale

BELRINO – L’incapacità della Germania di «piazzare» i suoi uomini nelle più importanti istituzioni internazionali è ormai diventata materia di riso tra i diplomatici e gli esperti del settore. Dopo sei anni di governo a Berlino, la cancelliera Angela Merkel non è riuscita nemmeno una volta a far attribuire un posto chiave a Bruxelles o a New York ad un tedesco. Come dice un giornale di opposizione, oramai la divisione dei compiti è collaudata: la Germania fornisce i soldi, il lavoro va ad un francese. Il motto di spirito non è lontano dalla verità.

I recenti avvenimenti che hanno portato alla dimissione del direttore del’FMI Domnique Strauss-Kahn sono stati per la Germania l’occasione di una riflessione sui limiti della politica della Merkel. Il paese soffre una frustrazione profonda, quella di essere la più grande economia dell’Europa senza un adeguato riconoscimento internazionale. L’incapacità tedesca di proporre un proprio candidato alla testa dell’FMI ha dimostrato ancora una volta la validità del teorema. La cancelliera non ha nemmeno tentato di sondare la possibilità di una convergenza intorno ad una sua proposizione e si è limitata a sostenere la candidatura della francese Lagarde.

La Germania, alla luce dei suoi numerosi titoli di merito – prima economia europea, terzo contributore dell’FMI – avrebbe avuto tutte le possibilità di giocarsela con gli altri concorrenti. Ma, come è già successo in passato, la Merkel ha dimostrato gravi difetti: non essere in grado di negoziare e non essere capace di individuare e sostenere un candidato. Tre economisti – Peer Steinbrück, Jürgen Stark, Axel Weber – si erano rivelati papabili ad una prima indagine del governo. Tutti sono stati scartati, il primo perché poco conosciuto internazionalmente, il secondo perché prezioso nella sua posizione attuale, il terzo perché inviso al partito della Merkel, la CDU.

La Merkel non è capace di individuare cavalli vincenti o di sostenere quelli in corsa. La storia del posto di direttore dell’FMI ne è solo l’ultima riprova. La frustrazione è poi accresciuta dai successi del vicino d’oltre Reno. Mentre la Germania non trova un’adeguata rappresentazione sul palcoscenico delle nazioni, la Francia riesce abilmente ad imporre i propri uomini. Fino a pochi giorni fa, Parigi poteva vantarsi di avere tre uomini chiave nei posti chiave dell’economia mondiale, Strauss-Kahn all’FMI, Pascal Lamy alla World Trade Organization e Jean-Claude Trichet alla Banca Centrale Europea. Anche il prossimo direttore della Banca Centrale Europea – un posto che Berlino avrebbe potuto rivendicare con buone ragioni – non andrà ad un tedesco. La Merkel non è riuscita a far imporre il suo candidato Axel Weber, ex presidente della Bundesbank, che è uscito dalla corsa ancora prima di diventare un vero sfidante. La poltrona andrà probabilmente all’italiano Mario Draghi.

Il paradosso della Germania si fa sempre più acuto: un’economia vincente, con un peso determinante nel mondo che non riesce a far sentire la sua voce nelle istituzioni internazionali, proprio quando queste istituzioni diventano sempre più importanti nel processo della globalizzazione.

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