ROMA – Cosa succederà il dal 26 gennaio in avanti, se Syriza, il partito di Alexis Tsipras, vincerà le elezioni politiche del 25 gennaio 2015 in Grecia?
Se Tsipras manterrà le sue promesse elettorali, poco meno del caos, incluso un danno secco per l’Italia di 20 miliardi di euro. Ma non sembra una ipotesi verosimile, anche perché per quanti voti prenda, Syriza per governare sarà comunque costretta a allearsi con un altro partito, quello centrista e questo dovrebbe annacquare molto gli ardori rivoluzionari.
Il quadro della Grecia post elezioni tracciato da Attilio Barbieri su Libero merita una attenta lettura. Seguiamo la sua analisi:
“Per aggiudicarsi la maggioranza assoluta in Parlamento, Alexis Tsipras, ingegnere civile nato ad Atene il 28 luglio 1974, pochi giorni dopo la caduta dei colonnelli, ex comunista, dovrebbe ottenere almeno il 34% dei voti, mentre Nuova Democrazia, la formazione del premier uscente, Antonis Samaras sarebbe sotto il 27%.
Per prendere la maggioranza assoluta al parlamento ellenico Tsipras dovrebbe aggiudicarsi almeno 101 seggi sui 300 totali, contando poi sul premio di maggioranza che da solo ne vale altri 50.
Più verosimile che Syriza non raggiunga quota 151 seggi e quindi debba fare l’alleanza con un altro partito. La più probabile è quella con la formazione centrista To Potami, guidata dall’ex giornalista televisivo Stavros Theodorakis.
In questo caso la posizione di Tsipras potrebbe ammorbidirsi parecchio rispetto alla minaccia di non rispettare gli accordi sottoscritti dal governo Samaras con la Troika: Fondo Monetario, Banca centrale europea e Commissione Ue.
Ardua, se non del tutto impraticabile, la strada che porterebbe Atene fuori dall’euro, dopo la minaccia tedesca di escludere il Paese dal quantitative easing da 1.100 miliardi. Senza i soldi buttati sul piatto da Draghi i titoli greci, che già ora hanno un rating al livello B, rischierebbero di sprofondare. Diventando veri e propri junk bond. Spazzatura.
Difficile che Tsipras, maggioranza assoluta o no, faccia valere la promessa elettorale di rinegoziare tutti i trattati europei dando un taglio del 50 per cento ai 317 miliardi di debito pubblico accumulato.
Rispetto alla crisi in cui Atene era precipitata nel 2012, quando i bond ellenici erano in mano per il 59% ai privati, ora la situazione si è invertita: il 62 per cento è finito nei portafogli delle istituzioni di Eurolandia. Ma a fare il pieno sono i singoli Stati, visto che la Bce ne ha meno di prima: l’11 per cento contro il 16 di tre anni fa.
La realtà potrebbe essere molto diversa da quella delineata da Tsipras nei comizi della rovente campagna elettorale. Come ha lasciato intendere il capo economista di Syriza, Yannis Milios, che ha nel cassetto un piano alternativo: Atene saldamente dentro Eurolandia, impegni con la Troika rispettati, niente deficit aggiuntivo, in cambio del via libera a un piano di riscadenzamento per i titoli pubblici. Metà sarebbero ritirati e sostituiti con bond a lungo termine «zero coupon», senza interessi: ad anticiparli dovrebbe essere la Bce.
L’alternativa, con la disdetta unilaterale di tutti gli impegni assunti dall’esecutivo Samaras, avrebbe un esito letale per molti Paesi. Italia in testa. Secondo uno studio diffuso da Public Policy, un istituto indipendente di ricerca irlandese, il nostro è il paese che ha speso di più in Europa per il servizio del debito. Non solo in termini assoluti ma anche in rapporto al Pil: 5,2 per cento, più della Grecia che si è fermata al 4,8 per cento, mentre fra gli «osservati speciali» il Portogallo è al 4,3 e la Spagna al 3,5.
Dunque saremmo i primi ad essere trascinati a fondo da un eventuale effetto domino scatenato dal default greco. Senza contare che anche un eventuale congelamento dei debiti contratti da Atene con i Paesi che l’hanno finanziata attraverso il fondo salva Stati, ci farebbe perdere in un colpo solo circa 20 miliardi di euro sui 142 di prestiti totali concessi a Samaras. Altrettanti ce li rimetterebbe la Francia e 30 la Germania.
A produrre gli effetti peggiori, però, non sarebbero certo i debiti cancellati unilateralmente da Tsipras. Ma l’inevitabile crisi di fiducia, capace di spegnere da sola la miccia della ripresa accesa da Draghi con i 1.100 miliardi del quantitative easing”.
I commenti sono chiusi.