ROMA – Migranti-fantasmi: di 135 mila uomini e donne arrivati sulle coste italiane da Paesi extracomunitari, quasi la metà (65 mila) sono spariti nel nulla. Negli archivi europei non ve n’è traccia: né nome e cognome, né foto segnaletica, né tantomeno le impronte digitali.
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È un buco nel sistema della sicurezza europea, per il quale l’Europa dà la colpa all’Italia. Francesco Viviano e Alessandra Ziniti su Repubblica lanciano l’allarme terrorismo:
Il palestinese con il cellulare pieno di foto che lo ritraggono in tuta mimetica con un kalashnikov in mano, scappato dal centro di accoglienza di Comiso, è solo uno dei tanti.
“In Eurodac, il sistema che permette alla Ue di verificare i dati dei richiedenti asilo o di chi è entrato irregolarmente da una frontiera, l’Italia nel 2014 ha inserito i dati di circa 70 mila persone, 48 mila richiedenti asilo e 30 mila ingressi illegali. «E gli altri 65 mila che avete soccorso con i mezzi dell’operazione Mare Nostrum che fine hanno fatto?» hanno chiesto dalla Ue contestando così al governo italiano la mancata identificazione di quasi la metà dei migranti sbarcati in Italia. Un dato che preoccupa particolarmente se si guarda la percentuale di identificazione relativa agli ingressi illegali: il 22%. Quanti dei “fantasmi” entrati in Europa dal suolo italiano potrebbero essere potenziali terroristi? Controlli a campione sui cellulari dei migranti soccorsi hanno in più di un’occasione messo in allerta forze dell’ordine e magistratura per il ritrovamento di foto, video e scritte inneggianti alla Jihad.Che nei mesi scorsi, di fronte ad un’emergenza continua alla quale le forze dell’ordine hanno fatto fronte senza alcun aiuto dall’Europa, dal Viminale fosse partita una direttiva non esplicita di “girarsi dall’altra parte” e consentire ai profughi che non volevano rimanere in Italia di allontanarsi indisturbati aggirando così il trattato di Dublino, è cosa nota. In qualche momento di particolare tensione con i suoi interlocutori europei persino il ministro Alfano lo ha ammesso. Ma ora, a fronte di una contestazione ufficiale in un momento in cui le minacce dell’Is hanno raggiunto il cuore dell’Europa, dal ministero dell’Interno è arrivata la stretta. E ieri il prefetto Nicola Zito, alla guida della Direzione centrale anticrimine, ha convocato i questori in prima linea per invitarli ad attenersi il più rigidamente possibile alle norme che obbligano all’identificazione di chiunque metta piede nei paesi dell’area Schengen in maniera illegittima.
Chi, e sono soprattutto siriani ed eritrei, si rifiuta di farsi rilevare le impronte digitali ( cosa che — secondo il trattato di Dublino — li obbligherebbe a poter chiedere asilo solo in Italia e non negli altri paesi del Nord Europa dove sono diretti), deve essere denunciato. Insomma, è stato l’ordine, in qualche modo i numeri devono combaciare: se i dati ufficiali di “Mare nostrum” danno a 135.362 il numero dei migranti sbarcati in Italia, nelle banche dati europee e italiane ci deve essere traccia di altrettante persone: o identificate o denunciate. Una direttiva estremamente difficile da rispettare, notano i poliziotti che in Sicilia lavorano notte e giorni sui moli di Pozzallo, Porto Empedocle, Augusta, Catania, Palermo dove, a rotazione continua, le navi militari e i mercantili cooptati nelle operazioni di soccorso depositano profughi a centinaia al giorno.
Se Repubblica guarda la cosa dalla prospettiva dell’Europa e delle forze di polizia, Stefano Pasta del Fatto Quotidiano si cala nei panni dei migranti, in un articolo dal titolo “Le impronte digitali che umiliano i rifugiati”:
“Siamo terrorizzati, stanno provando in tutti i modi a prenderci le impronte digitali”. Queste le parole in inglese che M. riesce a dire prima che il cellulare siriano da cui chiama si spenga. Si trova nell’ufficio volanti della Questura di Treviso insieme ad altri 30 siriani arrivati in pullman da Reggio Calabria, dopo essere stati recuperati mercoledì dalla nave San Giusto. Passata un’ora, risuona il cellulare: “Hanno portato 6 di noi in una stanza per convincerli a lasciare le impronte”. Alessandro Tolloso della Questura di Treviso spiega: “Stiamo attuando fermezza ma non violenza per fotosegnalare. Chi si rifiuterà, sarà denunciato secondo l’art. 650 del Codice Penale per inosservanza dei provvedimenti dell’autorità”. Intanto, in una nota, il sindacato di polizia Coisp parla di “persone che piangono”.
Sta cambiando l’accoglienza per chi scappa dalla Siria? Pare proprio di sì. Fino poche settimane fa, i profughi venivano ospitati in centri di accoglienza e, in caso volessero fare domanda di asilo in Italia, si presentavano in Questura successivamente. Quasi tutti hanno invece proseguito verso il Nord Europa, Svezia e Germania le mete più ambite. Da una decina di giorni, invece, il Viminale ha chiesto di identificare i profughi non appena arrivano nelle regioni scelte per ospitarli. In realtà, l’Italia sta facendo esattamente quello che prevedono le norme Ue. Peccato che così, in base all’Accordo europeo di Dublino, i profughi siano obbligati a presentare domanda nel primo Stato in cui vengono fotosegnalati. Per chi fugge con i barconi è obbligatoriamente l’Italia, cioè dove i profughi non vogliono rimanere.
La conferma arriva anche da Milano. Qui, dal 18 ottobre 2013 al 27 agosto 2014 sono passati 21.145 siriani ospitati per una media di 4 giorni nei dormitori che il Comune ha attivato in collaborazione con la Prefettura. A nessuno di loro sono state prese le impronte, con l’eccezione dei 16 che volevano chiedere asilo qui. Tutti gli altri hanno attraversato l’Italia senza lasciare traccia, “liberi” di andare verso Nord. Nell’ultima settimana l’aria è cambiata: i siriani vengono trasportati con voli charter nella tendopoli dalla Croce Rossa nell’aeroporto di Bresso e subito sono accompagnati da poliziotti con mascherine alla Questura di Milano, dove sono spinti a lasciare le impronte. Per N. e le sue figlie vuol dire la fine del sogno: “Da quando sono scappata dalle bombe di Aleppo, pensiamo solo a raggiungere mia sorella in Olanda”.