ROMA – “Il negoziato sarà difficilissimo, ma noi tratteremo a oltranza perché se no lunedì i mercati esploderanno”: le parole di Mario Monti esprimono l’importanza del vertice fra i leader europei di giovedì 28, a Bruxelles. E non bisogna distrarsi col parallelo con la semifinale di Euro 2012 Italia-Germania che si gioca nelle stesse ore.
Ma nel giorno in cui Angela Merkel punta i piedi contro qualsiasi ipotesi di condivisione del debito infuocando il clima a 48 ore dal cruciale summit Ue, la Germania sembra cedere qualcosa, aprendo uno spiraglio sull’ipotesi di utilizzare il fondo salva-Stati europeo per un meccanismo di stabilizzazione degli spread a favore dei paesi più virtuosi. Un’apertura di Berlino quindi alla scudo antispread. Nel corso del vertice dei ministri finanziari di Parigi tra i quattro big dell’Eurozona, riferiscono fonti vicine all’incontro, si sarebbe registrata ”una cauta apertura” di Berlino sull’ipotesi, avanzata dal presidente del Consiglio Mario Monti al vertice del G20 di Los Cabos, di utilizzare l’Efsf per far scendere la febbre degli spread.
Si dovrà trovare per forza una soluzione: è più o meno la stessa “preghiera” che ha preceduto i vertici degli ultimi due anni, però poi non è mai stata trovata una mediazione fra il rigore e la crescita, fra la solidarietà fra Stati europei e la cessione di sovranità dei singoli Stati all’Europa. E quando un piccolo passo in avanti è stato fatto, con la firma il 2 marzo 2012 del “fiscal compact“, il patto fiscale, sono seguite varie retromarce. Anche perché il fiscal compact andava in una sola direzione: quella del rigore.
Direzione in cui rema, quasi in solitudine, la cancelliera tedesca Angela Merkel. L’asse franco-tedesco ha ceduto dopo le elezioni presidenziali che hanno smontato da cavallo Nicolas Sarkozy, cambiando colore politico alla leadership francese col socialista Francois Hollande. Anche Mario Monti ha lasciato le iniziali posizioni filo-tedesche. Non è solo uno spostamento dal centrodestra al centrosinistra delle opinioni pubbliche europee. Sono i conti che non tornano e dicono che più austerità porta al circolo vizioso fatti di meno crescita, meno occupazione, meno soldi nelle casse degli Stati, più debito.
Ma la Germania ha il coltello dalla parte del manico. Angela Merkel ha ribadito che non vuole gli Eurobond, con parole che non lasciano margini di discussione: “Niente Eurobond finché vivrò”. Non solo, si è detta perplessa anche sul piano di riforma dell’Ue presentato dal presidente del consiglio europeo Herman van Rompuy, che secondo la Merkel formulerebbe una troppo rapida condivisione delle responsabilità sui debiti pubblici.
Dall’altra parte la Francia di Hollande, che ha appena riportato da 62 a 60 la soglia minima per accedere alle pensioni di anzianità, accetterebbe di cedere parte della sua sovranità all’Europa. Accetterebbe che un cancelliere tedesco potrebbe avere da ridire su una misura come quella sulle pensioni di anzianità, e che monsieur le Président dovrebbe tenere conto dell’opinione del governo tedesco e non solo di quella degli elettori francesi?
La trattativa non si promette facile. E non è detto che basti la paura di quello che potranno fare i mercati lunedì. Del resto lo spread fra titoli spagnoli e italiani e quelli tedeschi sta tornando ai livelli massimi. A tutto vantaggio dei tedeschi. Investitori extra-comunitari, anche banche centrali, si sono buttati a capofitto sui bund, il prodotto finanziario più affidabile dell’area Euro. Berlino ha venduto titoli a 12 mesi per 2,05 miliardi di euro, pagando un rendimento medio dello 0,0191%, a fronte di una domanda pari a 2,8 volte l’importo offerto. Praticamente la Germania si è rifinanziata gratis. Mentre 24 ore dopo l’Italia deve piazzare i Btp a 10 anni al 6,15% e la Spagna per vendere i Bonos decennali deve offrire quasi il 7%.
Per questo Bruxelles è un passaggio decisivo e per questo l’ultima parola ce l’ha la Merkel. Sul tavolo dei leader europei si discuterà dei seguenti punti:
Misure per la crescita: i conti e l’attuale cabina di regia non permettono politiche di “deficit spending”. Ma siccome qualcosa per la crescita si deve fare, perché senza crescita non si riuscirà mai a rimborsare debiti e a redistribuire redditi, finendo dritti in recessione, si fa largo l’idea dei “project bond” emessi dalla Bei (la Banca Europea per gli Investimenti). Si tratta di 120-130 miliardi di bond, per investimenti che così si finanziano da soli. Per farlo però bisogna ricapitalizzare la Bei con almeno 10 miliardi di euro. Basterà uno sforzo pari allo 0,7% del Pil europeo (che ammonta, ricordiamolo, a 13 mila miliardi di euro) per far ripartire il pachiderma dell’Euro-economia? Ogni scetticismo è legittimo.
Unione bancaria. Integrazione nel sistema bancario. Vigilanza unica per tutti i Paesi dell’area. Regole comuni per l’assicurazione dei depositi, la liquidazione delle banche insolventi e la ricapitalizzazione. Così l’unico strumento efficace per contrastare la recessione, la politica monetaria europea, non resterà bloccata da veti nazionali o problemi “locali”. Le banche sotto l’ombrello euro saranno protette dai rischi che corrono ora, legate come sono alle sorti delle finanze pubbliche del Paese di appartenenza. Certo non sarà facile, visto che le politiche nazionali anti-crisi hanno portato alla segmentazione del sistema bancario. Ci saranno resistenze delle autorità di vigilanza nazionali e di alcuni gruppi bancari.
Fondo Salva-Stati. Esiste già, il suo compito è di pronto soccorso in caso di instabilità dei mercati dovuta a problemi di un singolo Stato. Dovrebbe, al posto della Bce, acquistare bond pubblici. La questione è la sua dotazione. Più miliardi al Fondo Salva Stati significa più “potenza di fuoco”. I più deboli vogliono un Fondo più forte, i più forti vogliono metterci meno soldi. I 750 miliardi attuali non basterebbero a salvare Spagna o Italia.
Eurobond. Va spiegato cosa sono anche se la Merkel ci ha messo una pietra sopra. Sarebbero titoli dello “Stato dell’Unione”, se l’Unione europea fosse lo Stato che ancora non è. Avendo il sostegno di tutti i Paesi, darebbero un rendimento e un costo medio rispetto ai titoli dei singoli Paesi euro. Esempio: se ora i Bund tedeschi rendono meno dell’1% e i Btp italiani oltre il 6%, gli Eurobond garantiranno un rendimento del 2-3%. Saranno più affidabili dei titoli dei singoli Stati e più solidi di fronte agli attacchi della speculazione. Inoltre consentirà ai governi nazionali di finanziarsi usando la forza e la credibilità dell’economia dell’intera Eurozona. Ma la Germania e tutti quelli che hanno conti in ordine e rating del debito buoni sono contrari. Non solo perché per loro significa pagare di più gli interessi sul debito pubblico, ma anche perché gli Eurobond potrebbero incentivare comportamenti opportunisti degli Stati più deboli, che scaricherebbero così i loro problemi sull’intera area Euro senza risanare i propri bilanci.
Misure blocca spread. Un sistema più rapido del Fondo Salva-Stati per intervenire nel caso aumentino troppo i rendimenti dei titoli di un singolo Stato – e di conseguenza lo spread, ovvero la differenza con il rendimento dei bund tedeschi. Per esempio, ora la Grecia, per vendere i propri bond e incassare qualche euro per far funzionare la macchina statale, è costretta a offrire tassi di interesse del 28%. Significa che se tu compri 1000 euro di titoli ellenici oggi, Atene ti dovrà restituire 1.280 euro fra un anno. Le misure blocca spread servirebbero a impedire circoli viziosi come quello greco, dove il debito impicca alla recessione. Ma non è chiaro di quante risorse dotare un simile sistema e quale ente europeo dovrebbe occuparsi di questo: la Bce? O di nuovo il Fondo Salva Stati?