ROMA – È stallo sul caso della piattaforma dell’Eni Saipem 12000 bloccata venerdì nel Mediterraneo orientale dalla marina militare turca mentre si dirigeva verso un’area di trivellazione su licenza del governo di Cipro. La nave perforatrice resta ferma in un tratto di mare a circa 50 chilometri da quello in cui sono previste le perforazioni alla ricerca di idrocarburi, nel Blocco 3 a sud-est dell’isola.
Erdogan minaccia. “Non bisogna pensare che le ricerche di gas al largo di Cipro e le iniziative opportunistiche sulle rocce nel mar Egeo sfuggano alla nostra attenzione. Avvertiamo quelli che hanno superato i limiti a Cipro e nel mar Egeo di non fare calcoli sbagliati”, ha dichiarato il presidente turco parlando ad Ankara al gruppo parlamentare del suo Akp.
“Non ci aspettavamo che accadesse perché siamo assolutamente molto dentro l’Economic zone di Cipro”, dove l’Eni ha già scavato due pozzi “senza avere nessun problema”, ha detto dal Cairo il suo amministratore delegato, Claudio Descalzi. Anche se delle possibili ritorsioni turche rispetto agli accordi con Cipro, il presidente Recep Tayyip Erdogan non aveva fatto mistero già negli incontri di una settimana fa a Roma.
Ritorsioni annunciate. Il leader turco aveva parlato dell’operazione come di una “minaccia per Cipro nord e per noi”. Il ministero turco degli Esteri aveva lamentato che i ciprioti stessero ignorando “i diritti inalienabili sulle risorse naturali”, pregiudicando la stabilità della zona e comportandosi come se la repubblica di Cipro fosse “l’uncia proprietaria dell’isola”. Per il Cane a sei zampe, stimano analisti di settore, il blocco costerebbe circa 600 mila dollari al giorno.
Al momento, nessuno azzarda previsioni sulle tempistiche per una soluzione del caso. L’unica data che circola, diffusa dal governo cipriota, è quella del 22 febbraio, quando scadrà una precedente notifica di attività militari turche nell’area, che Nicosia considera comunque illegali. Con questa motivazione, il passaggio da quella zona è stato vietato anche ad alcuni mercantili.
Questione commerciale e crisi diplomatica. “Noi aspettiamo. Chiaramente non possiamo aspettare per sempre”, si limita a dire Descalzi. Al lavoro c’è la diplomazia italiana, con contatti ai massimi livelli per cercare di sbloccare la situazione, in raccordo con le ambasciate ad Ankara e Nicosia. Perché lo scontro va ben oltre la questione commerciale e rischia di trasformarsi in una crisi diplomatica. Dopo le preoccupazioni già espresse da Roma e Parigi, e ovviamente da Nicosia, ad Ankara è arrivato oggi anche il richiamo di Bruxelles.
La condanna di Atene, le pressioni Ue. “Esorto la Turchia ad evitare minacce o azioni contro qualsiasi membro dell’Ue e a impegnarsi piuttosto in buone relazioni di vicinato, nella soluzione pacifica di controversie, e al rispetto della sovranità territoriale”, ha scritto su Twitter il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk dopo una telefonata con il capo di stato cipriota Nikos Anastasiadis, fresco di rielezione. Una condanna arriva anche da Atene, ‘sorella maggiore’ di Nicosia, secondo cui “la Turchia continua a sfidare la legalità internazionale violando in modo flagrante i diritti sovrani della Repubblica di Cipro nel Mediterraneo orientale”.
Ankara mostra i muscoli. Per Ankara, è l’ennesimo capitolo di scontro con l’Europa. Erdogan pare sempre più determinato ad utilizzare la questione energetica come una leva nella decennale partita geopolitica su Cipro. Lo sfruttamento delle risorse dell’isola, suggeriscono da Ankara, sarà anche sul tavolo dell’atteso summit che il 26 marzo vedrà Erdogan faccia a faccia con Jean-Claude Juncker e Tusk a Varna, ospiti della presidenza bulgara di turno.
Ma intanto, la Turchia continua a mostrare i muscoli. Mai si era arrivati a un blocco navale di questo tipo, in un’area pur soggetta a continue tensioni. “Abbiamo già perforato dei pozzi in analoghe condizioni, nella Economic zone di Cipro e non ci è successo assolutamente niente. Probabilmente la tensione è salita per altri motivi e quindi la nave è stata bloccata”, ha commentato ancora Descalzi. Sull’isola, l’Eni ha inviato il suo dirigente responsabile per una missione già programmata ma che adesso si focalizzerà ovviamente sulla crisi della Saipem 12000.