La Torre: “Non atterrate qui”. Ma un altro ordine arriva ai piloti: cosa è successo nell’aereo polacco?

Pubblicato il 12 Aprile 2010 - 16:03 OLTRE 6 MESI FA

“Non qui, non qui, atterrate a Minsk oppure a Mosca…”. E’ la torre di controllo che parla ma i piloti non seguono il consiglio che è quasi un ordine, forse obbediscono ad un altro ordine che è venuto da dentro l’areo che stanno pilotando. Cosa è accaduto in quell’aereo polacco che volava nel cielo russo? Perchè volevano atterrare proprio lì e non altrove? È il 10 aprile del 2010. Sono le ore 10.50 locali (8.50 in Italia). C’è nebbia e foschia sul cielo sopra Smolensk. Un vecchio Tupolev Tu-154, partito da Varsavia con a bordo il presidente polacco, Lech Kaczynski, la first lady e buona parte dell’elite politica, finanziaria e militare polacca, sta per atterrare nell’aeroporto della città  russa, 362 chilometri a sud ovest di Mosca. Di lì, il presidente e la first lady avrebbero dovuto proseguire in auto verso Katyn per commemorare gli oltre 22.000 ufficiali e soldati polacchi massacrati dai sovietici nel 1940. Ma qualcosa non funziona della fase di atterraggio.

La torre di controllo russa allerta i piloti polacchi delle cattive condizioni meteo. Fitta nebbia sopra l’aeroporto militare di Smolensk. Le autorità aeroportuali consigliano di dirigersi sull’aeroporto di Minsk, in Bielorussia, oppure addirittura a Mosca.  L’allarme non viene raccolto e i piloti cominciano le manovre.  Perchè? Qualcuno che poteva ha detto a quel punto ai piloti: “Fate tutto il possibile ma non mandatemi altrove”? E se lo ha detto, perchè? Una delle ipotesi ha una matrice politica, matrice in cui prestigio, nazionalismo e ostinazione si mescolano. Si trattava di conservare un carattere tutto “polacco” alla seconda commemorazione della strage di Katyn, carattere che si sarebbe diluito modificando lo scalo di atterraggio, poi il corteo e quindi il segno diplomatico della missione.

Una, due, tre volte provano a scendere. Tentativi difficili, vista la scarsa visibilità, andati a vuoto. Nonostante le ripetute avvisaglie, i piloti provano ancora una volta a scendere. L’ultimo tentativo, il quarto, è quello fatale: nessun sopravvissuto. Il Tu-154 si schianta al suolo. Con  tutti i 95  passeggeri a bordo. L’aereo è in fiamme e i suoi resti sono sparsi su un ampio raggio.

Assieme al capo dello Stato e alla moglie Maria è stata decimata una grossa fetta della classe dirigente polacca: il governatore della banca centrale Slawomir Skrzypek, il capo di stato maggiore Franciszek Gagor, il capo dell’Istituto per la memoria nazionale, Janusz Kurtyka, il capo dell’Ufficio per la sicurezza nazionale Aleksandr Szczyglo, il capo della cancelleria presidenziale Wladyslaw Stasiak, il segretario di stato alla presidenza Pawel Wypych e il sottosegretario Mariusz Handzlik, più numerosi deputati del partito del presidente, Pis (Diritto e Giustizia, conservatore).

In Polonia è lutto nazionale. Bandiere a mezz’asta in tutte le città. La gente continua a radunarsi davanti al palazzo presidenziale con fiori e candele in mano. Attoniti e segnati dal dolore hanno accolto il feretro all’aeroporto militare Okecie, il gemello del capo di stato ed ex premier Jaroslaw Kaczynski e l’unica figlia Marta, che nell’incidente ha perso anche la madre, Maria.

Come mai, ora ci si chiede, dei piloti professionisti come quelli alla guida del volo presidenziale non hanno raccolto l’allarme della torre di controllo e cercato di atterrare in Bielorussia, dove probabilmente si sarebbero salvati? Forse la risposta è da ricercare in quello che è avvenuto nelle 72 ore precedenti lo schianto.

Cominciamo dall’inizio. La cerimonia che avrebbe dovuto svolgersi a Katyn era stata fortemente voluta proprio da Lech Kaczynski, il presidente polacco morto nella sciagura aerea, ed era stata organizzata dalla sua cancelleria assieme all’Ufficio per i combattenti di Varsavia.

Tre giorni prima dell’incidente, sempre a Katyn, c’era stata la commemorazione congiunta russo-polacca in presenza del premier russo Vladimir Putin e del collega polacco Donald Tusk. L’invito di Putin a Tusk, rivolto a febbraio, faceva seguito alla partecipazione di Putin a Westerplatte lo scorso settembre, per i 70 anni dell’inizio della seconda guerra mondiale. L’invito per Katyn il 7 aprile era per Tusk e non prevedeva la presenza del presidente Kaczynski. Ma la cancelleria presidenziale a Varsavia aveva fatto sapere che a Mosca sarebbe andato anche Kaczynski.

Le autorità russe hanno reagito senza entusiasmo tanto che l’ambasciatore a Varsavia non ha voluto nemmeno confermare inizialmente di avere ricevuto la comunicazione sull’arrivo di Kaczynski. Per evitare un incidente diplomatico, il ministero degli esteri polacco ha suggerito quindi al presidente lo “stratagemma” di andare a Katyn in altra data, quella appunto del 10 aprile. La proposta è stata accolta favorevolmente e sono cominciati i preparativi della cosiddetta “manifestazione centrale a Katyn” con il presidente. Ma solo pochi giorni fa uno dei viceministri degli esteri russo aveva detto che Mosca non conosceva i particolari della visita di Kaczynski. Varsavia aveva tranquillizzato: stiamo definendo gli ultimi dettagli della visita.

Tutto ciò avveniva in un clima politico già segnato dalle prossime presidenziali in Polonia, previste per l’autunno e ora probabilmente anticipate. Kaczynski secondo i commentatori non voleva, anche in funzione elettorale, mancare a nessun costo una manifestazione di grande richiamo popolare come quella di Katyn, estremamente sentita dai polacchi. Per la cerimonia prevista, che poi non c’è stata a causa del disastro aereo, era partito da Varsavia anche un treno con alcune centinaia di familiari delle vittime del massacro di Katyn per mano dei sovietici 70 anni fa.

La scelta di atterrare disperatamente forse è dovuta proprio a quel  bisogno di Kaczynski di portare a termine lo stratagemma e diventare per sempre il simbolo della “manifestazione centrale di Katyn”. Se l’aereo del presidente  fosse atterrato in Bielorussia o a Mosca, sarebbe venuta meno la prerogativa tutta “polacca” della delegazione voluta da Kaczynski.

A Mosca, intanto, è in atto la decodifica delle scatole nere, punto cruciale per valutare se davvero i piloti polacchi del Tupolev 154 non hanno dato retta alla torre di controllo russa e, nonostante la nebbia, si siano azzardati nell’atterraggio fatale. In base a quanto emerso dalle prime ricostruzioni, non ci sarebbero stati “problemi tecnici”. La causa diretta dello schianto sarebbe da attribuirsi alle cime degli alberi nascoste dalla scarsa visibilità: un’ala del velivolo vi sarebbe rimasta incastrata. Ma c’è chi pensa che sia stata l’ostinazione di Kaczynski a voler atterrare proprio lì e non altrove all’origine di quello che per i polacchi è oggi “il secondo evento più tragico nella storia della Nazione”.